La Tartaruga Rossa (La Tortue Rouge) è il nuovo film d’animazione co-prodotto da Francia, Belgio e Giappone sotto l’egida produttiva del famoso Studio Ghibli, che ha portato al successo i capolavori firmati da Hayao Miyazaki.
Diretto nel 2016 dall’animatore olandese Michaël Dudok de Wit, il film debutta nelle sale italiane dal 27 Marzo dopo svariati passaggi in importanti contesti festivalieri come la 69esima edizione del Festival di Cannes o La Festa del Cinema di Roma 2016. Nonostante il tocco “Ghibli” alle sue spalle, il film è un prodotto atipico frutto della contaminazione linguistica –e visiva – tra linguaggi e tradizioni completamente diverse tra loro: il tratto lineare, pulito e semplice tipicamente francese si unisce alla linearità essenziale giapponese fondendosi, inoltre, con il lirismo metaforico –delicato ed essenziale – comune alla tradizione audiovisiva del Sol Levante.
La musica e le suggestioni immaginifiche arrivano a compensare le lacune della mancanza di dialogo, in una storia che cerca di dipanare –nel corso di 90’ – i misteri della Vita, dell’Amore, della Morte e della Natura senza però mai rincorrere le abbaglianti luci di vane risposte: un naufrago approda su un’isola deserta e caraibica dopo una tempesta. Sull’isola cerca di sopravvivere alle avversità cercando un modo per poter abbandonare quel paradiso amaro, ma una grande tartaruga rossa lo ostacola, infrangendo sempre sul bagnasciuga i suoi tentativi. Quando la tartaruga approda sulla terraferma, per l’uomo inizierà un nuovo viaggio importante e lungo quanto l’Esistenza stessa.
La Tartaruga Rossa si allontana dai prototipi caotici forniti dal cinema d’animazione di matrice statunitense, avvicinandosi piuttosto alla complessità stilistica –e tematica appunto – delle produzioni orientali: con un linguaggio aggraziato e delicato Dudok de Wit prova ad utilizzare una metafora per cercare delle risposte (plausibili) ai grandi misteri dell’esistenza, realizzando un prodotto finale sicuramente destinato ad un pubblico più maturo, pronto a rielaborare gli impulsi forniti nel corso dei 90’ veicolandoli attraverso un processo di astrazione lento e sistematico, flemmatico e regolare come il corso della Vita stessa.
Nonostante la profondità insita nel film d’animazione, La Tartaruga Rossa subisce in parte l’effetto della raggiunta maturità stilistica e formale che si trasforma in un’arma a doppio taglio, affilata e pericolosa: tanto risulta affascinante al primo sguardo, incantevole e ammaliante come il canto arcaico delle sirene, tanto questo film farà fatica a trovare un proprio pubblico una volta uscito in sala, collocandosi nel limbo sospeso tra le suggestioni dello Studio Ghibli e la sensibilità del mercato europeo dell’animazione, un mondo ancora alla ricerca di una propria, definita, cifra stilistica.
Commento Finale
La Tartaruga Rossa si allontana dai prototipi caotici forniti dal cinema d’animazione di matrice statunitense, avvicinandosi piuttosto alla complessità stilistica –e tematica appunto – delle produzioni orientali: con un linguaggio aggraziato e delicato Michael Dudok de Wit prova ad utilizzare una metafora per cercare delle risposte (plausibili) ai grandi misteri dell’esistenza, realizzando un prodotto finale sicuramente destinato ad un pubblico più maturo. Nonostante la profondità insita nel film d’animazione, il film subisce in parte l’effetto della raggiunta maturità stilistica e formale che si trasforma in un’arma a doppio taglio, affilata e pericolosa: tanto risulta affascinante al primo sguardo, incantevole e ammaliante come il canto arcaico delle sirene, tanto questo film farà fatica a trovare un proprio pubblico una volta uscito in sala, collocandosi nel limbo sospeso tra le suggestioni dello Studio Ghibli e la sensibilità del mercato europeo dell’animazione, un mondo ancora alla ricerca di una propria, definita, cifra stilistica.