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Suburbicon – Recensione – Un Film di George Clooney

Primo film in concorso della quarta giornata del Festival del cinema di Venezia 2017, Suburbicon segna il ritorno dietro la macchina da presa di George Clooney dopo il deludente The Monuments Men, spalleggiato in questo caso sia da un cast ben nutrito capitanato da Matt Damon, Julianne Moore e Oscar Isaac, che di una sceneggiatura firmata niente di meno che dai fratelli Joel ed Ethan Coen.

In questa sesta opera da regista di George Clooney al centro della narrazione vi è la cittadina di Suburbicon, paradisiaca comunità periferica nota per l’armonia e la tranquillità con cui vivono i suoi abitanti. Tuttavia questa non è l’altro che l’apparente aspetto della città, che cela un grande lato oscuro, nel quale si districano individui come Gardner Lodge (Matt Damon), marito e padre di famiglia, ma al tempo stesso uomo dominato dalla meschinità e dagli istinti violenti, così come i suoi concittadini.

George Clooney da quando si è cimentato nella regia cinematografica nel lontano 2002 con Confessioni di una mente pericolosa, ha sempre saputo dire la sua, dimostrando che anche un attore possa sfornare opere più di discrete dietro la macchina da presa. Gli si perdona, quindi, il passo falso compiuto con il suo precedente film, The Monuments Men, forse per la presenza di un cast corale talmente pieno di star da catalizzare completamente l’attenzione su di esse e non sulle tematiche analizzate, che risultano trattate in maniera svogliata e disimpegnata.

A soccorrere George Clooney nel caso di Suburbicon occorrono i fratelli Coen, maestri indiscussi del cinema americano, che lo aiutano nella scrittura della sceneggiatura, il pilastro essenziale che finalmente riesce a collocare all’interno di un suo operato.

Colmata la mancanza di una solida sceneggiatura, il prodotto si confronta con un dissidio interiore non indifferente tra la poetica del regista e quella dei fratelli co-sceneggiatori: per quanto riguarda la maggior parte degli spunti critici e cinici instillati all’interno dell’opera, essi si rivelano perfettamente riusciti nel loro obiettivo di punzecchiare lo spettatore, facendolo sentire colpevole degli atti intrapresi dai protagonisti, tuttavia talvolta l’approccio visivo di Clooney, maggiormente dedito ad un cinema basato maggiormente sui buoni sentimenti e sul politically correct, si scontra fin troppo apertamente con lo stile nero e grottesco dei Coen, causando disappunto nello spettatore più attento.

Questa sua doppia (in realtà tripla) identità, però, risulta praticamente l’unico vero difetto del film, che riconferma Clooney anche come ottimo direttore degli attori sulla scena: sia Matt Damon che Julianne Moore sono capaci di dare una performance controllata, ma sempre più tendente all’esplosione più si va avanti con il minutaggio; tuttavia è Oscar Isaac a mangiarsi ogni altro interprete inserito nell’opera che, per quel poco che compare, regala al pubblico una recitazione sì sopra le righe, ma molto efficace nel risaltare il sottotesto più prettamente comico, quanto quello maggiormente satirico e pungente.

Regia: George Clooney Con: Matt Damon – Julliane Moore – Oscar Isaac – Noah Jupe Anno: 2017 Durata: 104 Min Paese: USA
Primo film in concorso della quarta giornata del Festival del cinema di Venezia 2017, Suburbicon segna il ritorno dietro la macchina da presa di George Clooney dopo il deludente The Monuments Men, spalleggiato in questo caso sia da un cast ben nutrito capitanato da Matt Damon, Julianne Moore e Oscar Isaac, che di una sceneggiatura firmata niente di meno che dai fratelli Joel ed Ethan Coen. In questa sesta opera da regista di George Clooney al centro della narrazione vi è la cittadina di Suburbicon, paradisiaca comunità periferica nota per l'armonia e la tranquillità con cui vivono i suoi abitanti.…
Commento Finale - 80%

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Suburbicon è un ambiguo connubio tra la mentalità hollywoodiana di Clooney e la poetica dei Coen che abbiamo imparato tutti ad amare (o anche ad odiare): pur presentando alcuni punti di incertezza nello sviluppo del materiale originale sullo schermo, la sesta regia di George Clooney ne riconferma il talento indubbio, oltre a dimostrare quanto sia importante il suo sodalizio con i fratelli sceneggiatori.

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