Silence, dopo la Premiere in Vaticano di dicembre l’ultimo film di Martin Scorsese, si rende disponibile anche per i comuni mortali dal 12 gennaio 2017 grazie alla distribuzione di 01 Distribution.
Un mio amico, tempo addietro, sottolineò come, se i film vengono fatti fare a chi conosce il mestiere, difficilmente viene fuori un prodotto scadente. Di fronte ad un assioma simile è difficile dissentire, come è impossibile negare che Martin Scorsese sia un Maestro, con la M maiuscola.
“Silence” è il 24esimo lungometraggio del regista newyorchese ed è un bel film, a metà tra l’introspezione spirituale e la ricostruzione storico/antropologica. Tratto da un romanzo dello scrittore giapponese Shūsaku Endō, uno dei principali indagatori del rapporto tra uomo e spiritualità cristiana del 20esimo secolo, narra le vicissitudini di due giovani padri gesuiti, Padre Sebastião Rodrigues (Andrew Garfield) e Padre Francisco Garrpe (Adam Driver), partiti alla ricerca del loro mentore Padre Cristóvão Ferreira (Liam Neeson), di cui si sono perse le tracce nel Giappone del ‘600, durante una missione evangelizzatrice.
Non tutti sanno che, all’epoca, il Sol Levante non fosse il posto più salubre per i cristiani. Questi venivano perseguitati ed uccisi come mosche beccate sulla marmellata, più per pragmatiche ragioni di stato che per profondi convincimenti spirituali degli autoctoni e, per i preti ed i contadini convertiti, l’unico modo per salvare la pelle era abiurare il proprio credo, sotto la spinta e le torture di inquisitori che nulla avevano da invidiare al Q dell’omonimo romanzo di Luther Blisset. Con delle premesse del genere ci si aspetterebbe un film d’avventura, un “Mission” degli anni 2000, ma quel che esce fuori è invece una riflessione sul rapporto tra uomo e religione, con, sullo sfondo, uno splendido affresco del Giappone rurale dell’epoca.
La fotografia, maestosa ed emozionante e la regia, ricca di richiami visivi a “L’ultima tentazione di Cristo“, ma al tempo stesso moderna ed estetizzante, contribuiscono ad immergere lo spettatore in una riflessione sul proprio rapporto con la mistica e la spiritualità e su quanto e chi si sia disposti a sacrificare pur di salvaguardare i propri principi. I rapporti umani che ne conseguono vengono disegnati attraverso il filtro della disputa verbale e dei convincimenti dei protagonisti e, soprattutto nei contrasti che ne escono fuori, tratteggiano le differenze culturali che passavano tra l’impero nipponico e l’Europa cristiana, ma anche nel modo, personale, intimo e pubblico allo stesso tempo, di vivere il rapporto con la metafisica e la moralità dei personaggi in ballo.
“Silence” è un film ben interpretato, con molto spazio ai dialoghi ed ai monologhi, pur non diventando mai un film d’attori, ma mantenendo un amalgama d’insieme importante. Liam Neeson è per una volta comprimario di lusso, lasciando la scena ai due giovani protagonisti: il poco carismatico Adam Driver e l’inopinatamente ottimo mattatore Andrew Garfield. Se da un lato sta nascendo una star di cui non riesco a comprendere il potenziale (Driver), dall’altra sboccia senza se e senza ma uno splendido interprete (Garfield). Poco più di un cammeo per Ciaràn Hinds, mentre con enorme piacere troviamo il regista simbolo del cyberpunk, Shinya Tsukamoto, nei panni d’un cristiano giapponese, accompagnato da quanto di meglio offra in materia d’interpreti il cinema nipponico contemporaneo.
Film lungo, che sfiora le tre ore, ma poetico e ricco di tracce e sottotracce, in un compendio di arte cinematografica che, probabilmente, lascerà indifferente o deluso il grande pubblico, ma appagherà gli amanti del cinema d’autore.
Commento Finale - 70%
70%
Silence
Scorsese non sbaglia (quasi) mai, che dir se ne voglia ed anche Silence centra il punto. In bilico tra spiritualità, auto citazione e ricostruzione storica, con un protagonista in grande spolvero ed una fotografia pazzesca. Film non per tutti, ma gli amanti del Cinema, con la C maiuscola, usciranno dalla sala ampiamente appagati, sia pur non gridando al capolavoro.