Fuori questo venerdì Renegades – Commando D’Assalto, diretto da Steven Quale e scritto da Luc Besson. Action con ambientazione d’epoca, prodotto francese ad alto budget per il grande pubblico americano.
Congelato dalla primavera del 2015 e da allora in attesa del via libera per la distribuzione di massa, arriva in queste settimane in Europa Renegades – Commando D’Assalto (di Steven Quale, Francia-Germania, 2017). Lo snodo fondamentale per la riuscita economica della pellicola saranno gli Usa, ma oltreoceano bisognerà aspettare. Nel frattempo, esce in sordina qui. Anni ’90, Sarajevo e dintorni. Un gruppetto di Navy SEAL tutti matti guidati dal carismatico Matt Barnes (Sullivan Stapleton) portano avanti missioni suicide e distruttive in stile A-Team per conto della Nato, nel contesto della catastrofica guerra civile bosniaca. Tramite la camerierina locale Lara (Sylvia Hoeks) vengono a sapere dell’esistenza di un tesoro risalente all’occupazione nazista sepolto sul fondo di un enorme lago fuori città. Un po’ per tornaconto un po’ per spirito umanitaristico, i marine accetteranno di recuperare l’oro in segreto, muovendosi alle spalle sia dell’Ammiraglio Levin (J.K. Simmons), che ne mal sopporta lo spirito insubordinato, sia dei malvagi militari serbi che controllano la zona.
Cosa funziona in Renegades – Commando D’Assalto
Nonostante ogni singolo fotogramma di Renegades gridi America con tutto il fiato che ha (dura non farci caso), il film è europeo. Si tratta, più precisamente, del 58esimo credito da produttore e sceneggiatore per Luc Besson, la personalità più importante per l’industria cinematografica francese di questo millennio. La storia è nota: regista estroso e d’avanguardia negli anni ’80-’90, a partire dal 2000 circa Besson ha posto in secondo piano il suo percorso autoriale per dedicarsi anima e corpo a trasformare il desolante panorama del cinema pop d’oltralpe in una nuova mecca dell’exploitation europeo. A Parigi, Besson fa quello che a Cinecittà si è smesso di fare da trentacinque anni, con effetti che abbiamo ancora davanti agli occhi. Scrive e produce blockbuster di livello medio-basso a ritmi di tre all’anno, raccoglie una vera e propria factory di registi, tecnici e maestranze, fa girare rigorosamente in inglese, con attori vendibili, manda tutto in sala worldwide e incassa cifre che da sole bastano a tenere in piedi un’industria nazionale che altrimenti non avrebbe di che campare. In questo periodo è in sala da regista con il progetto della vita, quel Valerian costato 180 milioni (più di un Marvel medio) e flop annunciato. Ma si ripagherà. Con i soldi di film come Renegades.
Besson sa come parlare agli americani. In Renegades, padroneggia quell’immaginario con una naturalezza esaltante. I dialoghi demenziali, l’esaltazione patriottica e guerrafondaia, il cameratismo becero e le macchiette xenofobe: gli ingredienti di un cinema che neanche Chuck Norris nel 1985, eppure qui riproposto per quello stesso pubblico yankee di trent’anni fa. Che lo stroncherà su internet, e correrà a vederlo. In cabina di regia c’è il mestierante Quale, storica seconda unità di Cameron. L’azione è grossa e rumorosa, e il digitale ottimo. Simmons fa da star da cartellone e gira tutte le sue scene in una stanza con l’aria di divertirsi. Questo è quello che c’è.
Perché non vedere Renegades – Commando D’Assalto
I motivi per trascurare Renegades sono d’altra parte gli stessi che fanno funzionare il film. Poco sopra si parlava di “un cinema che neanche Chuck Norris nel 1985″ e di “dialoghi demenziali, esaltazione patriottica e guerrafondaia, cameratismo becero e macchiette xenofobe”. Perché ripetersi? Ciò che tiene in piedi Renegades è anche ciò che lo renderà indigesto ad una gran parte di pubblico (proprio qui, nel continente che il film l’ha prodotto). Un approccio rivolto in maniera talmente plateale ad un certo tipo di spettatore non fa nulla per venire incontro a chi delle rocambolesche avventure dei Navy SEAL in terre straniere non importa nulla. Se ne uscirebbe irritato, posto che riuscisse a sostenere tutti i cento minuti. L’azione e il divertimento (culminanti nel lungo terzo atto subacqueo) ci sono si, ma non a livelli tali da compensare del tutto un contesto di demenza quasi aggressiva. La confezione generale è media, nulla di più.
Alla fine dei conti, vedere Renegades è una scelta che lo spettatore non dovrà neanche porsi. Chi non aspettava altro che un film del genere è già pronto da un pezzo. Chi lo troverebbe ripugnante non ne saprà neanche l’esistenza. Il film di Steven Quale sta lì, discreto, divertente e fieramente stupido. In una parola, onesto.