Secondo lungometraggio per Marco Pollini, stavolta in trasferta sarda. Moda Mia è un bizzarro racconto di formazione tra fiaba infantile e realismo contadino, con Pino Ammendola e un cast di ragazzi non professionisti.
Opera numero due del veronese Marco Pollini, 44 anni, in campo con i lungometraggi dallo scorso 2015. Moda Mia è il suo secondo exploit in veste di scrittore-produttore-regista dopo Le Badanti, passato un po’ sotto silenzio un paio di anni fa.
Del suo primo lungometraggio Pollini ritrova una certa tendenza allo spunto buonista (lì un gruppo di ragazze extracomunitarie impegnate come da titolo, qui il classico del giovane con aspirazioni artistiche stroncato dall’ambiente familiare), oltre al veterano Pino Ammendola nel ruolo di supporto principale. La storia, come accennato, vede l’adolescente Giovanni (Francesco Desogus) cercare di trovare spazio come stilista di moda nel contesto soffocante della Sardegna più rurale. Non aiuta la presenza del padre Antonio (Ammendola), pastore sanguigno, manesco, pieno di problemi relazionali (c’entra l’ex moglie e madre di Giovanni) e poco incline ad assecondare le velleità del figlio. Seguirà un intreccio ondivago a base di sfilate, angeli custodi, tesori nascosti e turbamenti sessuali.
Gli spunti interessanti di Moda Mia, parliamoci chiaro, sono pochini. La base di partenza è tra le più classiche possibile, e tutto sommato ci si discosta poco: seguiamo Giovanni in tutto il percorso canonico di ricerca della propria identità, scontri familiari, presa di coscienza e grande decisione finale. Il film ha il suo elemento più stonante (o più interessante, a seconda dei punti di vista) negli scarti di tono continui e stranianti all’interno del racconto: il giovane Degosus dimostra meno dei sedici anni del suo personaggio, ed il risultato è uno spostamento generale del racconto da dramma adolescenziale ad avventura bambinesca stile Ammaniti, modello Io Non Ho Paura. Giovanni è un bambino, si comporta come tale, ha un rapporto da bambino con la sorella minore e con il luogo in cui vive, questa campagna brulicante e misteriosa. E proprio quando ci siamo abituati ad un racconto serenamente infantile, irrompono bruschi lampi di neorealismo a spostare gli equilibri già precari del film. Intuiremo uno strano rapporto voyeuristico tra Giovanni e la prostituta che il padre è solito portarsi a casa (ossessione solo accennata), e soprattutto si svilupperà una sottotrama al limite del surreale con protagonista un ragazzo gay, amante del travestitismo e forse interessato allo stesso Giovanni. Potenziali sviluppi drammatici e morbosi, abortiti però sul nascere e annacquati in un contesto di sole, sorrisi e buone intenzioni in cui nessun personaggio risulta veramente problematico, se non il patriarca di Pino Ammendola.
Il vero motivo di interesse dei Moda Mia allora è proprio il suo elemento più dichiaratamente negativo. Se le aspirazioni di Giovanni rimangono abbozzate (il ragazzo avrebbe potuto essere appassionato di pesca sportiva tanto poco è giustificato il suo interesse per la moda), e le sue prime turbe sessuali si dileguano sullo sfondo della narrazione, lo sguardo dello spettatore è tutto per Antonio.
Ammendola si prende il ruolo sulle spalle con un lavoro encomiabile da attore di metodo. Mentre tutti attorno parlano come un libro stampato (i dialoghi, altra mattonata che affossa il film), il veterano napoletano fa suoi accento, postura, parlata, gestualità: tutto è preciso nel delineare un personaggio laido, sessuomane, forse violento, un po’ fuori di testa, ma in definitiva vero. Come è vero tutto l’ambiente che Pollini e il bravo scenografo Gianluca Nieddu gli costruiscono intorno, dalla casa contadina piena di paccottiglia e mobilio polveroso, alle vecchie macchine e strade incrostate di fango.
E alla fine quasi ci dispiace che tocchi a lui il ruolo dello stupido sconfitto. Perché è difficile non trovarsi a tifare per l’unico lampo di realtà nell’intero film.
Commento Finale - 50%
50%
Troppo timoroso per deviare da un racconto classico e canonizzato, Moda Mia soffoca i propri elementi più perturbanti in favore di un racconto infantile e naif. Ottimo Ammendola, colpevolmente relegato in secondo piano in favore di un protagonista assai poco interessante.