Presentato in concorso al Festival del Film di Locarno, Mister Universo, terzo film del duo di cineasti italo-austriaco, Tizza Covi e Rainer Frimmel, è un’opera che, attraverso l’ibridazione tra documentario e finzione, racconta un viaggio di ricerca on the road che affascina lo spettatore.
Al loro terzo film, la coppia registica Tizza Covi-Rainer Frimmel realizzano un film che porta a maturazione quell’ibridare documentario e narrazione messo a punto nel loro primo lungometraggio. Mister Universo racconta la storia inventata di un ragazzo in cerca del proprio amuleto perduto, la sceneggiatura si basa su fatti e persone reali: Tairo Caroli, domatore di leoni, appartiene a una della famiglie italiani di circensi più note e Arthur Robin è il primo afroamericano a diventare Mister Universo nel lontano 1957, sono persone che i registi hanno conosciuto e su cui hanno costruito il loro film.
Mettendo in scena un mondo circense decadente, quello di una compagnia in fallimento, che si esibisce nelle cittadine più di provincia mentre altri circhi più famosi riescono comunque a lavorare, un mondo reale che i registi mettono in scena così com’è, spesso con macchina a mano, Mister Universo racconta di un mondo ormai anacronistico quello del circo di Tairo e soci, che vive dei propri ricordi, di un glorioso passato. Di riferimenti culturali obsoleti, la musica di Rocky che accompagna i numeri circensi. Di ricordi delle canzoni di una volta, delle bibite alla mente rievocate mentre si è seduti su una seggiola della Coca Cola.
Cercando di intrecciare in maniera lineare e omogenea il cinema di finzione con uno sguardo più documentaristico e spontaneo, Tizza Covi e Rainer Frimmel firmano un’opera potenzialmente curiosa seppur non priva di evidenti lacune. Se infatti lo scheletro narrativo di Mister Universo è decisamente buon, proprio la forma adottata dai due autori sembra risultare meno efficace del previsto: le sequenze più sincere e appassionanti sono quelle in cui la macchina da presa si limita a osservare la quotidianità rappresentata. Quando però, per ragioni narrative, si chiede ai personaggi di seguire un canovaccio prestabilito, il progetto arriva a mostrare le sue crepe più evidenti, rivelandosi impacciato e per nulla spontaneo.
Mister Universo rappresenta un cinema povero di mezzi ma ricco di idee, il cinema della semplicità ma per niente ingenuo. Covi e Frimmel pongono lo sguardo sull’avventura di Tairo che attraversa l’Italia in cerca di un nuovo talismano che sembra miracolosamente crearsi sotto i nostri occhi, nel mentre lo vediamo: l’artificio del cinema viene annullato e la macchina da presa sembra sparire.
Commento finale - 65%
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Mister Universo
Ibridando documentario e cinema di finzione, la coppia registica Covi-Frimmel ci racconta di un giovane domatore di nome Tairo che percorre l’Italia in cerca di un portafortuna. E ad emergere sono incontri di famiglia e frammenti di storie circensi. Tizza Covi e Rainer Frimmel firmano un'opera potenzialmente curiosa seppur non priva di evidenti lacune. Se infatti lo scheletro narrativo di Mister Universo è decisamente calzante per i tempi che corrono, proprio la forma adottata dai due autori sembra risultare meno efficace del previsto: le sequenze più sincere e appassionanti sono quelle in cui la macchina da presa si limita a osservare la quotidianità rappresentata, senza voler invadere la scena con la sua presenza.
#Tairo Cairoli & Luigi D’Ambrosio ♡