La Meccanica delle Ombre (La Mécanique de l’Ombre) è il titolo dell’opera prima firmata da Thomas Kruithof che debutta dietro la macchina da presa con un atipico thriller dalle inquietanti atmosfere hitchcockiane, e che è possibile paragonare ad un’inarrestabile discesa in un Maelstrom di intrighi, macchinazioni, spie, manipolatori, doppiogiochisti e falsità, dov’è impossibile scorgere il riflesso della verità che si rifrange nel gioco di specchi delle bugie.
Il film è stato presentato in occasione della settima edizione della rassegna Rendez-Vous – Nuovo cinema francese che si è tenuta nella Capitale dal 5 al 9 Aprile, mostrandosi come una delle vetrine più innovative, organizzate ed efficaci per la diffusione e la conoscenza della nuova cinematografia francese in tutto il territorio italiano.
Già la sinossi de La Meccanica delle Ombre è gravida di sfumature che vanno dal noir d’autore alle atmosfere paranoiche del miglior Kafka: Duval (François Cluzet) è un grigio contabile che, dopo aver perso il lavoro, si abbandona ad una spirale di autocommiserazione, alcolismo e apatia dalla quale cerca di uscire. Durante una riunione degli alcolisti anonimi incontra Sara (la “nostra” Alba Rohrwacher), donna enigmatica e schiva, che lentamente – grazie alla sua fragilità – irrompe nella fortezza della solitudine che l’uomo ha eretto. Dopo l’incontro arriva anche una nuova proposta di lavoro: dovrà ascoltare delle intercettazioni telefoniche per conto di un misterioso Sig. Clément (Denis Podalydes), trascrivendole fedelmente. Più ascolta, più Duval si renderà conto di essere incappato in un pericoloso intrigo di potere dal quale sembra impossibile uscire.
La Meccanica delle Ombre è, già a partire dal titolo, un ossimoro ambiguo ed enigmatico che evoca subito l’idea funesta della macchinazione, del complotto ordito a tavolino dove niente è lasciato al caso e ognuno ha una propria parte nella grande messinscena che è stata architettata. Sottile come un thriller o un tradizionale film complottista a sfondo politico, l’opera prima di Kruithof “degenera” piacevolmente nel noir, nella sua estetica stilizzata e scolpita dai chiaroscuri degli ambienti quanto delle singole personalità, il tutto sottolineato dall’alienante colonna sonora; ciò che il regista riesce ad architettare è un incubo kafkiano ad occhi aperti, così moderno e meccanico, dove un normale “Signor Kappa” si sveglia una mattina qualunque e viene coinvolto in un intrigo decisamente più grande di lui.
Il film sembra nascere sotto l’egida di Alfred Hitchcock e del suo stile: l’eleganza formale che accompagnava la mise-en-scène del primo periodo londinese del regista e che poi “emigrerà” con lui nel passaggio ad Hollywood contamina anche il linguaggio cinematografico di Kruithof, definendone i contorni stilistici. La scelta delle inquadrature e, in definitiva, di un preciso sguardo adottato dal regista si riflette nei modi attraverso i quali si racconta la storia; storia che, dal canto suo, si basa su un’impeccabile sceneggiatura capace di allineare perfettamente il racconto per immagini con la scrittura quintessenziale drammatica, in grado di far progredire l’azione. I rapporti umani che si muovono sullo schermo sono ambigui, oggetto di dubbi e inclini alle manipolazioni: la menzogna accompagna e determina le scelte compiute da alcuni personaggi, coinvolti nella spasmodica conquista del potere; eccezion fatta per Duval e Sara, anime perse, due solitudini destinate a riconoscersi ed incontrarsi, un uomo e una donna che possono contare solo su loro stessi per potersi salvare dall’intrigo internazionale nel quale sono rimasti coinvolti.
Commento Finale - 85%
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La Meccanica delle Ombre è un thriller politico e complottistico gravido di sfumature che vanno dal noir d'autore hitchcockiano alle atmosfere paranoiche del miglior Kafka: Thomas Kruithof confeziona un'opera prima che “degenera” piacevolmente nel noir, nella sua estetica stilizzata e scolpita dai chiaroscuri degli ambienti quanto delle singole personalità, il tutto sottolineato dall’alienante colonna sonora; ciò che il regista riesce ad architettare è un incubo kafkiano ad occhi aperti, così moderno e meccanico, dove un normale “Signor Kappa” si sveglia una mattina qualunque e viene coinvolto in un intrigo decisamente più grande di lui.