Dopo la presentazione all’ultimo Festival di Venezia, dove il protagonista Kamel El Basha ha vinto la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile, esce ora in sala The Insult-L’insulto, candidato all’Oscar come miglior film straniero per il Libano.
Nel Libano contemporaneo, un litigio per un piccolo malinteso porta in tribunale Toni e Yasser. Toni è cattolico, Yasser è un rifugiato palestinese. Da faccenda privata il problema si allarga al pubblico, scoperchiando tensioni sopite e divisioni interne al paese.
Cosa funziona in L’insulto
L’Insulto parte da un presupposto universale, che accomuna tutti: la difficoltà della tolleranza e della convivenza, e l’importanza di questi due elementi per evitare conflitti. L’insulto nasce da una base semplice: una banale litigata tra due uomini su una questione futile. La provenienza, sia culturale che religiosa dei due, oltre che la rispettiva testardaggine, nascosta dietro la necessità del rispetto della propria dignità, farà gonfiare il problema a dimensioni incontrollabili, tanto da diventare una questione quasi nazionale.
Il tema privato diventa quindi specchio del paese: Doueiri usa questo stratagemma per parlare delle tensioni interne nel Libano odierno, e di alcune ipocrisie, che si possono però riconoscere in ogni paese e cultura. L’insulto non è come [amazon_textlink asin=’B006WHK168′ text=’Una separazione’ template=’ProductLink’ store=’darumaviewit-21′ marketplace=’IT’ link_id=’6e51a898-d917-11e7-8f5c-f13e733547d8′], dramma legale dell’iraniano Asgahr Farhadi, si trasforma, dopo la prima ora in un trial movie in cui le ragioni dei due protagonisti diventano le due facce di una nazione. Laddove il film di Farhadi rimaneva sul privato, tanto da ignorare il dramma secondario che si genera a causa del comportamento dei protagonisti, in questo film la collettività invade l’esclusività di questa discussione a due.
E’ quindi un film per ragionare sui livelli di tolleranza che ognuno di noi ha, e quanto serve per farli saltare in aria.
Perché non guardare L’insulto
L’originalità del film sta anche nel fatto che si discosta molto da un tipico film mediorientale. L’insulto ha un ritmo serrato e prende un genere, appunto il trial movie, tipico della cinematografia americana. Questo suo essere così internazionale può sembrare una concessione troppo forzata al mercato internazionale.
Il regista Ziad Doueiri fu arrestato al ritorno dal Festival di Venezia per alcune accuse riguardanti un film girato in Israele, The attack, è stato poi rilasciato ed ogni accusa è decaduta.