Il primo film in concorso del primo di Settembre alla 74esima edizione del Festival del cinema di Venezia è Lean on Pete, con Charlie Plummer, Chloe Sevigny e Steve Buscemi, diretto da Andrew Haigh, già regista di 45 Anni e The weekend, unanimamente acclamati dalla critica.
In questa sua nuova opera il regista inglese Andrew Haigh si occupa di narrare la vita di Charley Thompson, condotta insieme al padre single in modo estremamente precario, costringendo la famiglia “ristretta” a doversi spostare continuamente a causa delle esigenze lavorative del genitore. Con il desiderio di trovare la stabilità del suo ristretto nucleo famigliare, Charley, una volta giunto a Portland, si procura un impiego presso un trasandato addestratore di cavalli, possessore di un vecchio esemplare chiamato Lean on Pete.
Haigh continua la sua serie di parabole realistiche costruite per far riflettere lo spettatore sulla condizione sociale attuale, mettendo sotto la lente d’ingrandimento uomini comuni, di semplici ideali, ma appunto per questa motivazione anche autentici.
Il tentativo del regista con Lean On Pete era quello di raccontare in modo asciutto, senza tecnicismi, l’America rurale nelle sue varie differenziazioni socio-classiste dal punto di un giovane abitante di questo mondo, ovvero il protagonista Charley Thompson interpretato da Charlie Plummer; risulta quindi un vero peccato constatare quanto il fallimento di questa missione che Andrew Haigh si è prefissato con questo film sia clamoroso.
Un grande neo del prodotto è inanzitutto lo stesso Charlie Plummer, perennemente presente sullo schermo ed evidentemente non in grado di sostenere tale mansione, ovvero quella di guida dello spettatore in questa Odissea all’interno dei meandri del degrado americano. Il risultato, quindi, consiste in un’interpretazione estremamente sottotono quando dovrebbe suscitare compassione, mentre sfiora i limiti nel ridicolo nelle sequenze maggiormente pregne di pathos.
Tuttavia, le problematiche del progetto non sono rappresentate esclusivamente da un errore nella scelta di casting per il ruolo principale: persino lo sguardo che Haigh solitamente imprime nei suoi lavori, la freddezza con cui giudica i suoi personaggi, con un approccio vicino al documentario (senza però ricalcarne gli stilemi), appare in questo caso offuscata, come se il regista avesse voluto trattare molti argomenti, senza mai approfondirne a dovere nessuno.
Un esempio chiave diviene la maniera insulsa in cui viene liquidato prontamente il personaggio di Steve Buscemi (la cui prova è l’unico pregio di questo rovinoso disastro), così come ogni comprimario che appare nel corso della vicenda, non concedendo a nessuno di essi una maggiore introspezione che, probabilmente, avrebbero meritato.
Commento Finale - 45%
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Lean on Pete, purtroppo, è un evidente passo falso compiuto nel corso della sua carriera dall'inglese Andrew Haigh, il quale, al posto di plasmare un intelligente trattato sulla brughiera americana, confeziona un insulso atto di autocommiserazione, incapace di indirizzare il messaggio della propria criticae diventando in tal modo un prodotto estremamente dimenticabile