Arriva nelle nostre sale il 15 giugno l’intrigante esordio cinematografico del regista teatrale William Oldroyd. Lady Macbeth, in un crescendo di violenza e freddezza, racconta l’amore e la morte attraverso un’ipnotica antieroina senza scrupoli.
Basato sul romanzo Lady Macbeth del Distretto di Mcensk scritto dal russo Nikolaj Leskov nel 1856 e già diventata opera nel 1934, Lady Macbeth porta sullo schermo la vicenda della giovanissima Katherine (Florence Pugh) “comprata” dalla famiglia del marito (Paul Hilton) e costretta ad un’esistenza di solitudine, non-amore e violenza psicologica nella brughiera inglese di metà Ottocento, finché inizia una passionale relazione con il nuovo stalliere (Cosmo Jarvis) che porterà ad un crescendo di inaspettate e tragiche conseguenze.
Pur rimanendo abbastanza fedele al testo originale, Oldroyd sposta la storia dalla campagna russa a quella inglese di fine Ottocento, in un contesto sociale rigidamente arcaico e patriarcale, redendo, così, Lady Macbeth una riflessione sulla condizione della donna che travalica il paese e l’epoca di ambientazione della vicenda originaria, facendosi metafora più che mai attuale della condizione femminile. L’esordio di William Oldroyd nel lungometraggio, pur non nascondendo la sua derivazione letteraria e ottocentesca non cade mai nelle trappole della raffinatezza pomposa e fine a se stessa. Lady Macbeth è un’opera sì elegante, ma anche soprattutto lucida e fredda, al limite del cinismo: è la storia di una vittima dei tempi e del contesto che trova nella violenza l’unica soluzione per liberarsi, cadendo in una spirale di onnipotenza altrettanto disperata.
Con un ritmo serrato, un clima teso e sospeso in cui al centro dell’inquadratura c’è quasi sempre la splendida e ipnotica protagonista, interpretata da Florence Pugh, con i suoi silenzi, i suoi sguardi e i suoi gesti, l’opera esalta il senso di prigionia nella prima parte e quello di onnipotenza nella seconda, permettendo così allo spettatore di vivere il percorso interiore di Katherine e di partecipare al suo dolore prima e al massacro che compie, dopo. Gli interni vittoriani, impeccabilmente arredati ma freddi, in cui la protagonista resta immobile nei suoi corsetti, si contrappongono alla brughiera selvaggia e proibita, in cui la natura libera la giovane donna, sprigionando la forza primordiale dei suoi sentimenti.
Austero, intrigante e appassionante, Lady Macbeth ci riporta alle origini vere e proprie della recitazione e del cinema. La componente teatrale e le interpretazioni magistrali restano, insieme al modo innovativo in cui la storia viene raccontata, le caratteristiche più interessanti del film. La messinscena compassata e curata, poi, fa il resto.
Commento Finale - 75%
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Lady Macbeth
Con un ritmo serrato, un clima teso e sospeso in cui al centro dell'inquadratura c'è quasi sempre la splendida e ipnotica protagonista, interpretata da Florence Pugh, con i suoi silenzi, i suoi sguardi e i suoi gesti, Lady Macbeth esalta il senso di prigionia nella prima parte e quello di onnipotenza nella seconda, permettendo così allo spettatore di vivere il percorso interiore di Katherine e di partecipare al suo dolore prima e al massacro che compie, dopo. L'esordio di William Oldroyd nel lungometraggio, pur non nascondendo la sua derivazione letteraria e ottocentesca non cade mai nelle trappole della raffinatezza pomposa e fine a se stessa. Lady Macbeth è un'opera sì elegante, ma anche soprattutto lucida e fredda, al limite del cinismo: è la storia di una vittima dei tempi e del contesto che trova nella violenza l'unica soluzione per liberarsi, cadendo in una spirale di onnipotenza altrettanto disperata.