Già regista de L’intervallo, Leonardo Di Costanzo, con L’intrusa, racconta l’intrusione della malavita organizzata all’interno di una delle poche oasi libere dalla criminalità. Una storia ambientata in una Napoli dura e grigia, privata di tutta la sua poesia.
In un quartiere problematico della periferia partenopea esiste un centro giovanile in cui Giovanna (Raffaella Giordano) offre a piccoli emarginati della società una vita al di fuori della crimine. Ma, all’improvviso, l’opera dell’educatrice è minacciata da una situazione difficile: un noto latitante camorrista, che ha assassinato un povero innocente, si è rifugiato all’interno della struttura. Ingannata dalla moglie del criminale, che era venuta a chiedere ospitalità per sé e per i figli, Giovanna si ritrova di fronte a una difficile scelta: continuare a ospitare la donna e i suoi bambini, nel momento più difficile, oppure cacciarli via, come chiedono tutti, le madri del quartiere, la polizia, persino gli altri bambini.
Cosa funziona in L’intrusa
Con uno stile quasi documentaristico, Di Costanzo attraversa con la sua telecamera la periferia napoletana con un’accuratezza e una precisione davvero ammirevoli. La realtà ci viene raccontata con grande asciuttezza, attraverso le soggettive dei suoi personaggi, senza connotarle con il solito dualismo buono/cattivo. Non esistono né buoni né cattivi, esistono soltanto persone che sopravvivono in modi differenti alla crudeltà della vita. La fotografia a luce naturale, poca musica, attori perlopiù esordienti o non professionisti, paesaggi e ambienti desolati, molti campi lunghi e un montaggio ridotto al minimo fanno tutto il resto. Di Costanzo racconta senza enfasi il panorama umano della vicenda: i familiari dell’uomo ucciso “per sbaglio” dal sicario, i poliziotti al lavoro, il preside col quale collabora Giovanna, i ragazzini “svantaggiati” che hanno trovato una casa sorridente in quel centro, le mamme che danno una mano, le cugine camorriste in Suv, naturalmente le due protagoniste intente a studiarsi.
Perché non guardare L’intrusa
La sceneggiatura si innesta in un’impianto molto realistico, con l’interazione tra il personaggio di Maria e quello di Giovanna: i dialoghi tra le due donne sono teatrali, impostati e sottraggono al film un po’ di quella realtà che ne costituisce il pregio. È la ridondanza esplicativa di alcune scene e di alcuni dialoghi che intralciano la fluidità delle interpretazioni adulte. Molto meglio i piccoli attori: il mondo dei bambini appare esattamente come deve essere: crudele, senza filtri, sicuramente sincero.
Intenso, vero, magistralmente diretto e recitato, equilibrato in tutti i suoi elementi sui quali l’autore non indugia mai, lasciandoli emergere in maniera molto naturale, L’intrusa riesce a ritagliarsi uno spazio importante nella cinematografia napoletana: la Napoli delle periferie, così, non è più solo camorra, o gomorra, come molti oramai definiscono la malavita, ma anche un luogo dove insieme alla violenza e alla sopraffazione c’è posto per il rispetto e per la collaborazione.