La terza stagione di Gomorra ha debuttato con successo su Sky Atlantic HD approdando perfino al cinema (solo per alcuni giorni) e contaminando in tal modo due media da sempre connessi tra loro come il grande e il piccolo schermo. E proprio la contaminazione è stata – e continua ad essere – la costante imprescindibile di questo prodotto ormai simbolo delle capacità del nostro made in Italy televisivo d’esportazione, una serie che sta riscuotendo successi soprattutto fuori dai confini del Belpaese.
In Gomorra 3, lo scenario si apre sulle ceneri della precedente stagione: il boss dei boss, Don Pietro Savastano, è morto e qualcuno deve occupare il suo posto in tempi brevissimi, prima che la notizia del suo omicidio si diffonda seminando l’anarchia. Ciro è l’uomo ricercato: colui che ha premuto il grilletto. Ora l’ex immortale di Scampia cerca di sfuggire ai fantasmi del suo passato, costruendosi una nuova esistenza lontano da Napoli, in Bulgaria. Genny, il figlio di Pietro, prende in mano le redini dell’impero (criminale) di famiglia, cercando di far coincidere la sua nuova vita accanto alla moglie Azzurra e al figlioletto. Ma quando si rende conto che le piazze di spaccio di Napoli Nord non rendono più come un tempo, decide di conquistare il centro della città grazie all’aiuto di Enzo Villa (detto “Sangue Blu”), un giovane e rampante erede di una famiglia criminale che vuole riconquistare il suo posto nella scacchiera criminale della città, e di Valerio, un ragazzo della “Napoli bene” pronto a compiere il suo esordio nella scalata al crimine. Per Genny e Ciro, sarà impossibile evitare letteralmente una nuova guerra per il potere.
Cosa funziona in Gomorra
Vedendo Gomorra è impossibile negare le potenzialità tecniche, visive e stilistiche di un prodotto simile, considerando anche il suo impatto sul mercato estero: la regia – affidata alle mani di Claudio Cupellini e Francesca Comencini, che raccolgono il testimone di Stefano Sollima – è tesa e serrata, sporca e oscura come il montaggio, figla diretta dei travagli emotivi del sottobosco urbano delle metropoli. La fotografia di Ivan Casalgrandi e Vittorio Omodeo Zorini restituisce quel clima, quella pesantezza che opprime i personaggi e fa presagire un tragico destino di morte per tutti i protagonisti.
Con una scrittura quintessenziale e funzionale, dialoghi taglienti resi ancor più asciutti dall’utilizzo del dialetto, le imponenti interpretazioni degli attori protagonisti – Marco D’Amore, Salvatore Esposito, Cristiana Dell’Anna, Cristina Donadio, Arturo Muselli, Loris De Luna solo per citarne alcuni – e delle tecniche stilistiche di regia votate a un solido equilibrio tra azione e narrazione, Gomorra si prepara a tornare nelle case degli italiani senza tradire le aspettative degli appassionati ma, anzi, raccogliendo al contempo intorno a sé un numero sempre maggiore di neofiti pronti ad appassionarsi.
Perché non vedere Gomorra
La sensazione più forte che aleggia intorno al terzo capitolo di Gomorra è quella legata alla fine inevitabile, come in una tragedia greca o in un dramma shakespeariano: Ciro, Genny e tutti gli altri personaggi che gravitano loro intorno sono scolpiti da luci e ombre, titanici nella loro meschina complessità. Le polemiche spesso sorte intorno alla serie e legate alla scrittura che “nobilita” le azioni criminali commesse dai suddetti characters, in realtà compie un altro tipo di percorso: svela agli spettatori un meccanismo criminale, una logica sanguinaria di potere occulto altrimenti estranea ai più, come in tempi più recenti ha fatto una serie cult americana come The Wire.
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