Film d’apertura della 74esima edizione del Festival del cinema di Venezia, Downsizing introduce una società utopistica, non troppo lontana dalla nostra realtà, nella quale è possibile il rimpicciolimento ( il Downsizing del titolo) degli essere umani.
Descrivere la realtà in tutte le sue sfacettature è sempre stato un obiettivo palese della filmografia di Alexander Payne, che già in precedenti lavori come Sideways o Nebraska aveva dimostrato di saper dare vita ad irresistibili americani medi, ritraendoli con tutte le rispettive contraddizioni interne.
Il Paul Safranek di Matt Damon si unisce quindi alla lunga lista di archetipi che il regista americano si diverte a mettere in scena, ad imporgli sempre nuove sfide e ostacoli che possano continuamente minacciare il loro modo di pensare, rendendoli dei personaggi assolutamente volubili ed in progressiva mutazione (in questo particolare caso, anche fisica).
Tuttavia nel caso di Downsizing viene introdotto un elemento innovativo all’interno del suo operato, ovvero la scelta di tradurre tematiche e situazioni, già analizzate in ambito realistico, in chiave fantascientifica, ma strizzando comunque un occhio all’attualità.
Il discorso imbastito nel primo tempo da Payne risulta estremamente affascinante nella sua semplicità: lo spunto di base viene sviscerato in modo chirurgico nella sua dettagliatezza, dando libero sfogo alla vena satirica del prodotto.
Lo squarcio di comunità americana catturato dal regista diventa quindi un continuo bersaglio delle sue stesse frecciatine, che attirano l’attenzione dello spettatore, in cerca di sempre più informazioni da immagazzinare riguardanti l’utopia (radicata alla realtà) creata da Alexander Payne.
Rappresenta infatti un enorme dispiacere constatare quanto i buoni propositi della prima ora di film vengano inesorabilmente abbandonati, per essere trattati esclusivamente in modo sporadico: la vicenda nel secondo tempo s’incentra in modo eccessivo sul suo protagonista, dimenticando non solo di approfondire l’esposizione del contesto a lui circostante, ma togliendo inoltre a Paul Safranek il ruolo di uomo comune che era chiamato a rivestire.
Il bersaglio della critica di Payne, in precedenza chiaro e lampante, appare nell’ultima parte, citando una parola fuoriuscita durante la conferenza stampa del suddetto film, più “sfocato” e perciò decisamente poco riuscito.
Commento Finale - 60%
60%
Downsizing si rivela purtroppo una mediocre apertura di questo in ogni modo promettente programma festivaliero, arrivando ad inficiare sulla qualità del prodotto, avente nella prima parte un elemento predominante di satira tagliente e molto curata, per colpa di un'ermetica impostazione narrativa dell'epilogo e della precedente ora di film che lo precede.