Ritorno alla regia per Aki Kaurismaki a sei ani da Miracolo a La Havre, “L’Altro Volto della Speranza” è una commedia nera sul tema dell’immigrazione, nel perfetto stile e sguardo dell’autore finlandese.
“L’Altro Volto della Speranza” è il brutto titolo di un film bello. E già basta questo a sorprendere: perché ad un film con questo spunto, questo titolo e questi temi basterebbe la locandina a mettere in fuga il più benevolo degli spettatori (giustamente). E invece.
Ogni singolo merito sta in questi casi nel lavoro dell’autore. Lo sguardo di Aki Kaurismaki (a riposo da La Havre, quindi ben sei anni) è singolare, straniante: nessun altro avrebbe potuto raccontare storie di questo tipo con tanta precisione e tanta naturalezza insieme, e allo stesso tempo rifiutare ogni componente tragica o ricattatoria, sposando fino agli estremi un proprio stile fatto di umorismo beffardo, understatement e gente che fuma in silenzio guardando i muri.
E si parla, ricordiamo, di tragedia migratoria e crisi economica.
Due storie, parallele nel primo tempo e incrociate nel secondo, animano L’Altro Volto della Speranza. C’è un signorotto di mezza età (Sakari Kuosmanen), chiaramente frustrato ed infelice, che molla la moglie alcolizzata, svende per pochi spiccioli i fondi di magazzino del proprio outlet di camice, si gioca quanto rimasto a poker (scena assurda, surreale), vince e con il piccolo patrimonio guadagnato acquista un ristorante scalcinato, insieme ai tre derelitti che ci lavorano: una cameriera, il caposala e il cuoco. Tutto nei primi 30-40 minuti di pellicola.
Contemporaneamente, un meccanico di Aleppo (Sherwan Haji) arriva in Finlandia nascosto in un carico di carbone. La sua famiglia è finita sterminata sotto i bombardamenti, e in compagnia della sola sorella ha attraversato a piedi mezza Europa per arrivare lì. La ragazza è rimasta indietro nel percorso, e per Khaled, questo il nome, si apre la vita grama del profugo senza permesso di soggiorno. Come manuale della commedia ottimista impone (e L’altro volto della speranza lo è, fino in fondo), nascerà la solidarietà tra emarginati, Khaled verrà accolto nel ristorante, e i cinque disperati cercheranno insieme di tenere a galla il locale nell’era del cibo hipster-etnico (sequenze esilaranti), oltre che recuperare da chi sa dove la sorella di Khaled.
E’ una pellicola densa. C’è tanto da raccontare, mille scene che andrebbero citate, attori da segnalare, scelte registiche da evidenziare. Quello su cui val la pena soffermarsi in L’Altro Volto della Speranza, è però l’approccio alla materia. Quanti film abbiamo visto a base di scontri culturali rumorosi, scene madri tragiche, retorica dell’immigrazione e mediorientali con il turbante, i baffoni e la parlata buffa da Alì Babà, ad uso e consumo di europei benestanti?
Fa strano che un film dallo stile volutamente surreale, quasi onirico, sia per contrasto una delle opere più realistiche sul tema. La vita immobile del centro accoglienza dove Khaled è costretto a passare diverse settimane, in cui profughi di ogni paese fumano irrequieti sospesi in un non-luogo limbico in attesa di permessi che non arrivano mai, è una quotidianità che il cinema non ha mai raccontato. Gli stessi immigrati sono caratterizzati con realismo minimalista sorprendente: niente comportamenti sopra le righe, niente pianti, niente esternazioni religiose assurde per far ridere il pubblico. Solo persone normali in cerca di quella normalità che il mondo gli ha tolto e che neanche l’Europa non sembra intenzionata restituirgli.
Si può obbiettare che anche questa è una semplificazione, relegare al non detto gli aspetti più tragici di una vicenda che stempera tutto nell’umorismo indiretto dei silenzi e delle occhiatacce. Ma è anche l’unica maniera per far passare un racconto profondamente ottimista di solidarietà e, va da sé, speranza, dove il lieto fine aspetta tutti e nessuno si fa mai veramente male.
Orso d’Argento a Berlino alla regia di Kaurismaki, che tornerà a rintanarsi per altri cinque anni fino al prossimo decennio, quando ricomparirà per inquadrare il suo presente in un altra istantanea storica, quale L‘altro Volto della Speranza è per questi anni.
Commento Finale - 75%
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Realista e surreale, umanista e beffardo, L'Altro Volto della Speranza è un piccolo lavoro e un grande ritorno per Aki Kaurismaki, mai così immerso nel proprio contesto storico e determinato a raccontare la realtà del presente. Trappole del dramma ricattatorio evitate con stile, la chiave è l'ironia ottimista.