Vincitore del Grand Prix a Cannes, 120 battiti al minuto, che racconta la battaglia politica di un’associazione per contrastare il virus HIV, è il candidato francese per la corsa agli Oscar, e sarà nelle sale italiane dal 5 novembre, distribuito da Teodora Film.
Parigi. Primi anni Novanta: nel pieno dell’epidemia di AIDS, un manciata di attivisti combatte la disinformazione e l’indifferenza generale con azioni di pacifica protesta. Il movimento Act-Up raccoglie gruppi di ragazzi affetti dal virus dell’HIV al fine di sensibilizzare la popolazione riguardo la drammatica diffusione dell’AIDS e rivendica a gran voce la necessità di accelerare i tempi delle sperimentazioni e delle ricerche farmaceutiche per trovare una cura. Gli animi sono concitati, i gesti sono convulsi: qualcuno ammanetta uno dei relatori, contravvenendo ai principi di non violenza. Subito dopo il gruppo si riunisce all’interno della sede del movimento e discute animatamente evidenziando criticità, pregi e debolezze dell’azione dimostrativa appena compiuta.
Cosa funziona in 120 Battiti al Minuto
Con un approccio registico schietto, sincero e irruento, ai limiti della brutalità, come i suoi protagonisti, Robin Campillo scaraventa immediatamente lo spettatore in mezzo alla scena, lo trascina nelle mura del movimento e lo costringe a prendere parte, ancora frastornato dalla velocità di azioni e parole, a un modo di fare collettivismo che non esiste più. Uno degli aspetti più interessanti del film è il modo in cui riesce a raccontare questo nodo inestricabile tra le urgenze individuali e gli obiettivi collettivi, tra le ansie e le pressioni della malattia e i necessari tempi lunghi di un’efficace strategia di intervento e comunicazione.
Set chiusi, molti primi piani, e pochissimi campi lunghi concentrano tematicamente e visivamente l’attenzione sugli attivisti. Act Up è l’occhio attraverso cui guardiamo: le reazioni del resto del mondo, se non quelle dei soggetti strettamente in contatto con i membri dell’associazione, sono quasi del tutto tralasciate. Interessante è la fluidità di montaggio all’interno dell’intera pellicola, che rende labile la divisione tra le scene. Le immagini tendono a trasformarsi le une nelle altre, senza soluzione di continuità ma senza disorientare lo spettatore che, anzi, viene sempre di più immerso nella realtà che sta guardando.
Perché non guardare 120 Battiti al Minuto
Schietto per il coraggio di affrontare certe tematiche, ma anche ridondante e troppo lungo come testimoniano i suoi 140 minuti. Determinate scene risultano molto lente e un po pesanti, soprattutto nella seconda metà del film. Dopotutto rimane un’opera pedagogica e finalizzato a sensibilizzare gli spettatori sulla diffusione del virus HIV. Campillo sembra voler dar conto di tutto, toccare tutti gli argomenti e tutti i registri: dalle questioni scientifiche a quelle morali, dal sentimento e dall’impegno, alla passione erotica. Così il film finisce per smarrire un po’ il centro.
Rifiutando ogni tipo di soluzione retorica attraverso una solida sceneggiatura, 120 Battiti al Minuto è un film furente, rabbioso, pieno di passione vitale anche quando è “costretto” a raccontare la morte. E folgorante è la scena finale, che coerentemente congeda lo spettatore in modo brusco: la musica techno e le luci intermittenti si fondono in un unico flusso indistinto di un giocoso ballo in discoteca.