Al Pacino presenta la sua ultima fatica documentaristica “meta – cine/teatrale” nella quale cerca di esplicare l’essenza del folle viaggio che ha deciso – volontariamente – di intraprendere con il suo adattamento della Salomé di Oscar Wilde.
L’ultima pièce scritta dal brillante drammaturgo irlandese prima di essere risucchiato nel torbido oblio cieco in cui la vita lo aveva lanciato torna a nuova vita grazie alla testarda ossessione dell’attore/regista americano, da sempre affascinato dal teatro e dalle sue regole. Il risultato è Wilde Salomé (con tanto di ambiguo gioco col titolo, sospeso tra “Wild” e “Wilde”, selvaggia e incostante creatura come il suo artefice e demiurgo): un’esperienza – appunto – prima ancora che un documentario sulle varie – ed altalenanti – fasi produttive che ha attraversato l’attore statunitense per restituire vita e dignità all’opera del genio irlandese, troppo a lungo dimenticata per via della damnatio memoriae che ha investito quest’ultimo. Vita ed opera si mescolano non solo nel tessuto drammaturgico, ma perfino sulla scena e nell’inquadratura, confondendosi con le vicissitudini umane e lavorative di Pacino.
Il prodotto finale (frutto di una “gestazione” di quattro anni, tra tagli di montaggio e riduzioni) non è un semplice film, nemmeno un documentario, figuriamoci una pièce: l’attore pone lo spettatore nella condizione di voyeur privilegiato, pronto a spiare di nascosto da uno spiraglio del sipario ciò che accade sulla scena, assistendo all’inesorabile discesa nella perdizione della bellissima- e spregiudicata- Salomè, che seduce Re Erode (Pacino stesso) pur di ottenere la propria soddisfazione, per un vero capriccio: la testa di Giovanni Battista in cambio di un bacio rifiutato da quest’ultimo.
Il primo adattamento teatrale della Salomé, scritta da Wilde nel 1893, viene portato in scena a Los Angeles quattro anni fa dall’attore americano con la regia di Estelle Parsons e una giovanissima Jessica Chastain al suo primo ruolo importante accanto ad un colosso della recitazione. E proprio quest’ultimo sceglie di compiere un azzardo, una “variazione sul tema” che non solo lo spingerà a distogliersi dalla sua intensa attività teatrale, ma addirittura lo convincerà ad “immortalare” la lettura “impegnata” (o drammatizzata) con l’occhio della Macchina da Presa, contaminando l’estetica teatrale (e tradizionale) con la patina prettamente cinematografica – e la bellezza sfolgorante del 35 mm – instaurando così, via via, un legame sempre più profondo ed articolato con Wilde stesso: nonostante l’abissale distanza spazio/ temporale che separa i due, l’attore americano si ritrova a mettere in discussione sé stesso e ad avvertire una naturale “affinità elettiva” con il drammaturgo irlandese.
Il dramma vissuto da Wilde nell’ultima parabola triste della sua esistenza si rivela pericoloso, pregiudicante e monolitico come la profezia inquieta che anima lo spirito del profeta Giovanni Battista: vivere un’esistenza all’insegna dell’edonismo e del piacere ha provocato la rovina del drammaturgo, costringendolo alla fine a prendere atto del proprio fallimento, ammettendo la sconfitta di quell’ideale di vita estetica che si era sforzato di perseguire da sempre. Questo dramma moderno è incarnato, in modo speculare, anche da Salomè, fanciulla puerile e verginale costretta a vivere nell’opulento palazzo di re Erode (del quale cerca di rifiutare le attenzioni). Il rifiuto del Battista la fa cadere in uno spiraglio di ossessioni che la consumano fino al punto di spingerla oltre ogni limite, condannando a morte un innocente per mano di un altro uomo ossessionato – e condannato – dal piacere (Erode stesso) e firmando, allo stesso tempo, la propria morte.
Metafora triste dell’esistenza del drammaturgo irlandese, Wilde, vittima delle sue stesse utopie, coinvolge nel suo maelstrom antico anche Al Pacino, che rimane compulsivamente suggestionato ed affascinato dalla personalità del drammaturgo irlandese quanto dalla sua, personale, battaglia per adattare l’alfabeto teatrale alla grammatica del cinema.
Commento Finale - 90%
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Wilde Salomé
Al Pacino presenta la sua ultima fatica documentaristica “meta - cine/teatrale” nella quale cerca di esplicare l’essenza del folle viaggio che ha deciso – volontariamente – di intraprendere con il suo adattamento della Salomé di Oscar Wilde.Il prodotto finale (frutto di una “gestazione” di quattro anni, tra tagli di montaggio e riduzioni) non è un semplice film, nemmeno un documentario, figuriamoci una pièce: l’attore pone lo spettatore nella condizione di voyeur privilegiato, pronto a spiare di nascosto da uno spiraglio del sipario ciò che accade sulla scena.