Vincitore del Leone d’Oro alla 72esima edizione del Festival del Cinema di Venezia, Desde Allà che letteralmente significa “da lontano” racconta la storia di Armando (interpretato da uno straordinario Alfredo Castro) un uomo incapace di relazionarsi con gli altri, che guarda ma non tocca, si affeziona ma non si avvicina, una persona che non riesce a connettersi con il mondo che lo circonda.
Lorenzo Vigas, prova ad esplorare la solitudine umana e le cause che la generano di volta in volta, di persona, in persona. Questa indagine artistica è poi calata in un contesto geografico e sociale ben preciso. Quello della città di Caracas in Venezuela. Non è un caso che Vigas abbia scelto un paese fortemente segnato da disuguaglianze sociali ed economiche, per costruire una storia dove l’amore per se stessi e per gli altri, è ostacolato dal pregiudizio di una società omofobica e da alcuni presunti traumi infantili. Con Caracas, Vigas può facilmente giocare, dividendone lo spazio urbano rigidamente tra la caratterizzazione di un ambiente borghese, che appartiene al personaggio di Armando (Alfredo Castro) e quello al contrario popolare e degradato di Elder (Luis Silva). Poi, dopo aver descritto la lontananza tra due mondi, fa in modo che essi si avvicinino, e ci illude che essa possa essere infranta dal rapporto, forse paterno, forse sensuale, tra i due uomini.
Trattenuto e raffreddato attraverso il rigore di una messinscena impassibile, oggettiva, senza fremiti apparenti, Ti guardo non è per niente compiacente verso la sensibilità media, unica e dominante, non cede alle correttezze politiche e osa mostrarci un’omosessualità laida e sordida, sporcata dal denaro, dalla manipolazione, dall’interesse, dall’uso reciproco e consapevole. Storia tra un uomo e un ragazzo per i quali si fa fatica a simpatizzare, che si muovono in universo lercio e spesso hanno loro stessi comportamenti indegni se non criminali. Il mondo di Vigas è assolutamente negativo e nel corso del film mostra piano piano tutta la crudeltà lucida di un adulto, un figlio forse a propria volta abbandonato, che continua a produrre sofferenza nella generazione successiva di uomini, e che infine non vuole essere toccato nell’animo da nessuna forma di amore o relazione. Anche l’estremo “atto d’amore” che compirà Elder sarà compiuto invano, in un finale doloroso che si chiude in un isolamento umano privo di possibilità di redenzione, che resiste anche alla vecchia idea dei rapporti umani capaci di abbattere muri di classe e di disperazione.