Il perfetto connubio tra l’horror più concettuale e sdi un film storico semi-documentaristico: il risultato è The Vvitch, fortunato esordio di Robert Eggers premiato al Sundance Film Festival.
Risulta decisamente complesso concepire un prodotto così poco commerciale e anticonvenzionale come The Vvitch nel periodo cinematografico attuale, ma è risaputo che il genere per eccellenza che permette a registi alle prime armi, e non, di sperimentare il più possibile con la macchina cinema è proprio l’horror. Risiede però proprio in questo frangente, sperimentazione, la punta di diamante di The Vvitch: l’assetto documentaristico, il ritmo volutamente dilatato e la grande quantità di macrosimbolismi inseriti ne garantiscono una certa indigeribilità da parte di un pubblico generalista, ma allo stesso tempo ne guadagna in fascino per chi ama districarsi nei meandri di un cinema più intellettuale.
La pellicola infatti non è altro che una parabola ad immagini sugli effetti corrosivi e distruttivi che la religione può scatenare sulla società, talmente intrinseca in essa da poter disgregare interi nuclei famigliari (come quello protagonista) e di agire addirittura sulla mentalità del singolo individuo, sulla propria sanità mentale. Allo stesso tempo però il regista vuole rendere evidente quanto l’elemento religioso, inserito nel contesto storico seicentesco del racconto così come nell’attualità, sia essenziale per la sopravvivenza dell’essere umano e per la sua inevitabile evoluzione.
L’uomo è tanto potenzialmente fautore del proprio destino quanto strettamente dipendente nel medesimo istante dalla religione.
La realtà coloniale viene trattata con una fedeltà e rigorosità talmente atipiche che quasi si dimentica di stare visionando una pellicola di finzione, ma di essere alle prese con un crudo spaccato della vita contadina sui generis de L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi, soprattutto per la messa in scena quasi inedita all’interno del panorama cinematografico odierno di una natura così arrecatrice di sofferenze da sembrare quasi un’esternazione della volontà divina. Stupiscono anche le scelte registiche di Robert Eggers, particolarmente incisive sulla sua personale visione del genere horror: la costruzione della tensione è intenzionalmente lenta (forse anche troppo in certe sequenze), con sporadiche esplosioni di terrore, totalmente esenti da jump scares, ma pregne di un’enorme cura verso le immagini a dir poco evocative.
Un piacere è quindi constatare che The Vvitch sia un esperimento riuscitissimo, in grado di creare una commistione all’apparenza impossibile tra due generi agli antipodi.
Commento Finale - 78%
78%
The Vvitch è la dimostrazione di come un tipo di cinema di nicchia possa essere reso più accessibile grazie alle indubbie doti di un regista di relazionarsi con il proprio pubblico. Il prodotto risulta quindi efficace sotto ogni suo aspetto, sia per il terrore intrecciato sapientemente da Robert Eggers, che per la potenza dell’aspra critica inscenata dall'autore.