Debutta alla regia con The girl in the book, Marya Cohn presentando la storia di una giovane aspirante scrittrice che è stata oppresso e sfruttata dagli uomini della sua vita. Suo padre prepotente, un agente letterario molto potente di New York, la sminuisce con un soprannome paternalistico e ordina per lei in ristoranti, respingendo il suo desiderio di fare le proprie scelte. Più astuto e malvagio è un rispettato scrittore (Michael Nyqvist) che finisce per sfruttare Alice sia sessualmente che intellettualmente con il pretesto di essere il suo mentore.
La telecamera è fissata sul volto di Alice – una Emily VanCamp che riesce a dare sfogo alla sua bravura recitativa – la protagonista di The girl in the book. E non c’è da meravigliarsi. Ci sono un sacco di cose lì. Le espressioni sul suo viso rappresentano il suo stato emotivo instabile. Con un ampliamento dei suoi occhi o di una lieve flessione delle labbra, lei ci fa vedere che è pensierosa, poi sulla difensiva, e un attimo dopo in apprensione. Soprattutto, lei è infelice. Ed ha le sue ragioni. La Cohn mostra profonda solidarietà con le crisi emotive della sua protagonista, attraverso una narrazione che è intensamente percettiva senza diventare smielata. La VanCamp appare ugualmente in sintonia con i travagli di Alice, giocando il ruolo della scrittrice in difficoltà con un misto di vulnerabilità, determinazione e compassione. Poco adatto, forse, Nyqvist che lotta un po ‘con il ruolo di Milano, mancando di sufficiente caratterizzazione per rappresentare una minaccia vitale per il benessere di Alice.
Giocando con i flashback che, inserendosi in alcuni punti della narrazione sembrano raccontare un’altra storia da quella che lo spettatore sta guardando, ripercorrono l’adolescenza di Alice e i suoi incontri con Milano, il film cerca di mantenere una sorte di suspense emotiva, mostrandoci solo in parte cosa ha condotto Alice ad essere quello che è. Quando Alice, nei suoi più profondi abissi, finalmente guarda indietro a se stessa, nello specchio, c’è un momento di rottura. Non è più l’oggetto del desiderio di qualcun altro, ma il soggetto della sua storia, della propria vita. La Cohn riesce a creare con Alice un personaggio che è profondamente turbato, ma anche incredibilmente e facilmente riconoscibile, anche se lei è il suo peggior nemico.
The girl in the book è un film piacevole, dalla regia sensibile e fluida che riesce a valorizzare i temi che vuole raccontare. Un debutto promettente insomma per la Cohn, una vetrina per le vere capacità di recitazione della VanCamp, e un’affascinante storia al femminile. Peccato per l’happy ending che sembra completamente fuori luogo in questa storia: un racconto totalmente femminista di una donna che cerca di uscire dall’ombra di uomini che hanno dominato la sua vita. Quando lei inizia a cambiare per un uomo e non solo per se stessa, diluisce la potenza del messaggio che poteva essere più forte con un po di coraggio in più.