Un viaggio all’interno della vita cinematografica del grande Nick Cave.
Ricordo ancora, sono passati 20 anni, quando vidi per la prima volta il video d’un pezzo di Nick Cave, cantore australiano dell’apocalisse, all’epoca per me sconosciuto e misteriosamente affascinante. Il pezzo in questione era Where the wild Roses growe e fu per me una folgorazione. Il mio lato ormonale fu profondamente colpito dalla presenza di Kylie Minogue, ma il lato di celluloide non potè non rimanere affascinato dagli scenari apocalittici disegnati, in pochi minuti, da un video promozionale, che riusciva a raccontare l’angoscia d’un omicidio passionale.
Il crescente interesse per la musica d’un allora quasi quindicenne ingordo di novità fece sì che Nick Cave divenisse, da li in poi, uno dei miei artisti preferiti, mentre, parallelamente si sviluppava a livelli di maniacalità l’amore per un certo tipo di cinema, che ancora oggi coltivo. L’artista australiano riassume un certo gusto estetico che mi soddisfa ed incuriosisce, quello per il morboso, il crepuscolare, il sanguinoso, tra il visto e non visto, per i solitari e tormentati cavalieri oscuri.
Parallelamente all’egregia carriera musicale, il buon Nick ha portato avanti una proficua, sia pur non prolificissima, carriera all’interno della settima arte, tra colonne sonore, piccole parti e, soprattutto, sceneggiature, con una collaborazione particolarmente articolata e significativa col regista aussie John Hillcoat, con cui ha incrociato più volte la strada, partendo dalla fine degli anni ’80.
Nick Cave & The Bad Seeds sono i deus ex machina del rapporto, tra lo spirituale ed il fisico, dell’angelo Bruno Ganz e dell’acrobata Solveig Dommartin in Il Cielo sopra Berlino di Wim Wenders nel 1987, con la loro musica ed una piccola comparsata nei panni di sé stessi, in una dimensione parallela tra colonna sonora e cammeo.
Nick Cave, da solo, in pochi minuti rappresenta un punto di svolta nell’esistenza del personaggio interpretato da Brad Pitt in Johnny Suede, quando, con un look che richiama alla mente il regista Jim Jarmush, regala al bizzarro protagonista del film di Tom DiCillo una struggente canzone ed un pollo avariato. Un po’ musico di strada, un po’ pazzo, un po’ divinità che dall’esterno tutto muove, etereo come suggerirebbe il bianco colore dei suoi capelli e del suo vestito, terreno come gli acessi di rabbia che risvegliano e riportano coi piedi per terra. Siamo nel 1991.
Tra una colonna sonora e l’altra, arriviamo alla metà degli anni 2000 e scopriamo il Nick Cave sceneggiatore, di cui avevamo avuto sentore nel 1988 durante la prima collaborazione con Hillcoat in Australia, ma lo apprezziamo e scopriamo maggiormente con due film ambientati tra la fine dell’800 e l’inzio del 1900, incentrati sui rapporti tra fratelli che vivono ai margini della legge e della società e, per questo, sono portati a scelte drastiche e spesso tormentate. I due film in questione, entrambi dello stesso Hillcoat, sono La Proposta, crepuscolare western ambientato in Oceania con, protagonista Guy Pierce. Scenari polverosi, rapporti di sangue, vendetta e redenzione, cercata e mai del tutto trovata, la fanno da padroni.
Il secondo film, da me profondamente amato, è il sottovalutato Lawless. Ambientato durante il proibizionismo in Virginia, narra le vicissitudini e le scelte di vita, segnate da onore ed onestà intellettuale, dei tre fratelli Bondurant, produttori e contrabbandieri di distillati, alla ricerca della propria strada e, chi lo sa, di una compagna di vita. In questo film, violento quanto basta, crepuscolare il giusto, la fanno da padrone, secondo me, i barattoli di conserva in cui vengono assaporati i preparati spaccabudella dei fratelli interpretati da un taciturno Tom Hardy, un tormentato Jason Clarke ed un giovane ed impulsivo Shia Lebeouff.
Tratto comune tra tutte queste pellicole: l’incombenza della morte e della tragedia, una spirituale crepuscolarità ed i rapporti familiari, tormentati quanto indissolubili, anche nella più difficile delle scelte.
E’ di recente uscita un documentario, la nostra recensione qui, che racconta la stesura dell’ultimo disco di Cave, seguito alla tragedia della morte di uno dei due figli gemelli, adolescenti, dell’artista australiano. In questo caso Cave è il protagonista, ma le atmosfere disegnate dal regista sembrano completamente indirizzate verso i consueti toni crepuscolari cari al musicista, scrittore e cineasta che, della tragedia ha cantato i risvolti in ogni arte possibile ed immaginabile.