Continua la buena onda del cinema italiano contemporaneo: stavolta sono Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, con il loro Mine, a mostrare come sia una peculiarità tutta italiana “giocare” con i generi, rielaborandoli; anche quando si è alle prese con co-produzioni internazionali.
In un indefinito deserto mediorientale, due soldati americani vagano alla ricerca del villaggio più vicino. Sole a picco, scarsi viveri e la consapevolezza che, di lì a breve, qualcosa di tremendo si abbatterà su di loro. Questo “indefinito” qualcosa prende corpo quando entrambi finiscono su due mine anti – uomo: uno dei due, Tommy Madison, perde le gambe e si uccide sparandosi un colpo di pistola; l’altro, Mike Stevens, rimane fermo senza spostare mai il peso del suo corpo, in attesa dei soccorsi – che giungeranno dopo giorni – lottando da solo contro le avversità della natura, gli animali selvatici, le tempeste di sabbia, i propri demoni interiori e la paura di non rientrare in quel fortuito 7% che potrebbe sancire la sua salvezza.
In un primo momento Mine, la nuova fatica cinematografica degli italiani Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, potrebbe sembrare un tradizionale War Movie: due marines, il deserto, la riflessione umana sulla futilità e la crudeltà della guerra sono gli elementi che siamo abituati ad associare a pellicole appartenenti a questo genere. Ma il prodotto audiovisivo realizzato con perizia dalla coppia dei “due Fabio” è, in realtà, un complicato “film nel film”, un intricato gioco di scatole cinesi e rimandi che si “diverte” a passare, con maestria, da un genere all’altro, traghettando la percezione dello spettatore da una dimensione ad un’altra ben diversa e sempre più profonda, determinando in tal modo una progressiva caduta nel Maelstrom nero dell’inconscio e della psiche.
Dal War Movie al thriller psicologico; dal survival tipico (l’uomo solo contro le forze della natura) al dramma tratteggiato con pennellate sentimentali: recuperando la struttura delle “fiabe alchemiche” (simili ai romanzi di formazione, sulla scia del Pinocchio di Collodi), Guaglione e Resinaro riconfermano “l’onda verde” del cinema italiano contemporaneo, la propria capacità – unica – di relazionarsi con Il Genere conferendogli nuove sfumature e rielaborandolo, raggiungendo risultati sorprendenti. Anche Mine non sfugge a questa situazione, e si presenta come un prodotto audiovisivo pronto a destabilizzare la percezione dello spettatore, che si ritroverà progressivamente – nel corso dei 106’ – sempre più coinvolto nelle vicende di Mike Stevens (interpretato da Armi Hammer, qui alla prese con un vero e proprio One Man Show) e sempre più identificato con la sua condizione umana, la forza (intrinseca nell’homo sapiens) di sopraffare le condizioni avverse della Natura, nonostante quest’ultime tentino di schiacciarlo con la loro forza dirompente.
Leggi del nostro incontro con i registi del film
Ma a vincere, in Mine, non è la ragione, bensì il cuore: solo affrontando le ombre e i “vuoti” del proprio mondo interiore è possibile “andare avanti”, affrontare un “non –luogo” come il Deserto (dell’animo), farcela e reagire, come si ripete spesso nel film (creando, in tal modo, un leitmotiv esistenziale); solo reagendo c’è forse la speranza di sovvertire le regole non scritte alla base degli scherzi, spesso crudeli, architettati dal Destino.
Commento Finale - 80%
80%
In uscita il prossimo 6 Ottobre, Mine - ultima fatica di Fabio Guaglione e Fabio Resinaro - è un un complicato “film nel film”, un intricato gioco di scatole cinesi e rimandi che si “diverte” a passare, con maestria, da un genere all’altro, traghettando la percezione dello spettatore da una dimensione ad un’altra ben diversa e sempre più profonda; dal War Movie al thriller psicologico; dal survival tipico (l’uomo solo contro le forze della natura) al dramma tratteggiato con pennellate sentimentali: a vincere qui non è la ragione, bensì il cuore: solo affrontando le ombre e i “vuoti” del proprio mondo interiore è possibile “andare avanti”, affrontare un “non –luogo” come il Deserto (dell’animo), farcela e reagire; solo reagendo c’è forse la speranza di sovvertire le regole non scritte alla base degli scherzi, spesso crudeli, architettati dal Destino.