Arriva in sala “La Comune” il nuovo film di Thomas Vinterberg, autore danese di pellicole di successo come “Festen” e “Il Sospetto”, che segue la vita all’interno di una comune danese negli anni settanta.
Caratterizzata da i rapporti tra gli inquilini della comune, la pellicola ci presenta fin da subito i vari protagonisti, e i loro modi di fare, per una costruzione dei personaggi che tuttavia non è efficace come ci si potrebbe aspettare. Infatti se da una parte troviamo la storia della protagonista diretta con precisione e delicatezza, in cui seguiamo Anna nel suo viaggio interiore grazie al quale ci immergiamo completamente in un modo di pensare totalmente diverso a quello a cui siamo abituati. Dall’altra le personalità del film sono veramente troppe e nonostante le due ore di durata per Vinterberg è strato praticamente impossibile approfondire ogni aspetto dei suoi personaggi. “La Comune” sembra quasi una lunga puntata pilota di una possibile serie TV, considerando come lascia spontaneamente la trama principale come sfondo.
Sorvolando sulle lacune di struttura è un’opera intrigante in cui percepiamo la cultura danese non attraverso la solita descrizione paesaggistica, le cartoline o le vedute documentaristiche ma tramite la psiche dei personaggi. Le scelte di Anna, che da un primo momento sembrano incredibilmente sensate e razionali, si tramutano presto in un incubo nel quale siamo catapultati insieme a lei. Lo stile è sicuramente tra le note più positive, piacevole e impeccabile, con una fotografia non spettacolare o esibizionista ma comunque precisa ed elegante. Ricorda, sia nello sviluppo che nell’estetica, i film indipendenti americani che negli ultimi anni stanno avendo sempre più pubblico, ai quali è aggiunta un’eleganza tipicamente europea.
Nonostante le perplessità, Vinterberg realizza una pellicola intima e precisa che ci dà uno spaccato sulle ideologie di una certa epoca in un determinato luogo. Il regista danese si lascia prendere un po’ troppo la mano dalle tinte drammatiche, sopratutto sul finale, oggettivamente non sempre necessarie alla riuscita del messaggio ma che tutto sommato non gustano. Gli anni settanta sono perfetti per incorniciare il desiderio di liberazione dagli schemi sociali, come l’impossibile tentativo da parte dei protagonisti di abbracciare un modo di vivere più razionale e liberale.
Commento Finale - 65%
65%
Presentato in concorso a Berlino è un film piacevole e ben girato. Le scelte estetiche sono decise e attraverso di esse ci si immerge totalmente nella cultura danese. Non attraverso macchiette paesaggistiche o luoghi comuni ma seguendo l'evoluzione psicologica dei personaggi. Sono proprio questi il punto forte della narrazione ma anche una sua debolezza. L'opera analizza al meglio tutti i temi che riesce a toccare, le storie sono intense, allegre e profondamente drammatiche, ma manca qualcosa. Non si ha il tempo di analizzare tutti i personaggi che il film è già finito. Ricorda per buona parte il cinema indipendente americano degli ultimi anni, dalle atmosfere all'approccio stilistico. Nonostante le mancate occasioni la pellicola risulta piacevole, con quella giusta dose di amarezza che aiuta a non renderla dozzinale.