A distanza di tre anni dal suo ultimo film, il regista spagnolo Pedro Almodóvar torna, con Julieta, ai temi che lo hanno reso tanto celebre, ricamando su due attrici Adriana Ugarte ed Emma Suàrez la tela della sofferenza e del senso di colpa pregnante: dal passato non si fugge, ritorna a galla anche quando cerchiamo di cancellarvi ogni traccia.
Presentato quest’anno in occasione della 69esima edizione del Festival di Cannes, tratto da tre racconti dell’autrice premio Nobel Alice Munro e adattato alla realtà spagnola, Julieta rappresenta il ritorno, dopo tre anni dall’ultimo film, del regista spagnolo Pedro Almodóvar e ai temi, soprattutto al femminile, che lo hanno reso così celebre e riconoscibile. Il dramma personale di una madre che deve fare i conti con la voglia di indipendenza dei figli, che affronta per tutta la vita un senso di colpa per lo più ingiustificato ma tanto comune a ogni genitore, il dramma di una donna che perde il marito, di una figlia con un padre che intraprende una nuova relazione. Storie di dolori comuni, quotidiani.
Un primo piano di un tessuto rosso, che ben presto si scopre nascondere un cuore che batte; una scultura in terracotta raffigurante un uomo nudo seduto che viene incartato in modo attento e riposto in una scatola di cartone. Inizia con queste due sequenze Julieta che sin da subito è intenta a mostrare il potere e la forza della donna che non solo da la vita all’uomo ma risulta più forte nel soffrire, gestire e combattere tutto ciò che la vita le pone di fronte. Tutto questo segna un ritorno a quel cinema “di donne” a cui Almodòvar ci aveva abituati nelle sue opere passate. Donne condannate al mistero, a occuparsi delle debolezze altrui, a capirle, a rassegnarsi e a scontare un’eterno senso di colpa al quale nessuno dei personaggi riesce a sfuggire.
Costruito come un mosaico di ricordi che man mano prendono forma: gli incontri casuali che incidono su cose e persone, il desiderio come motore esistenziale, le relazioni familiari, la centralità della donna-matriarca, Julieta è il classico personaggio femminile di Almodóvar in bilico sui tormenti del passato, incapace di vivere il presente e progettare il futuro. Il tutto impaginato in scenografie che sembrano tavolozze pop, dai toni caldi, dai colori pastello. Denso, intenso e carico di sentimenti, tormenti, sfumature colme di sofferenza e conseguenze, la pellicola fa ben valere lo stile del regista spagnolo.
Nonostante alcune scelte narrative appaiano non propiamente adeguate e troppo melodrammatiche tanto da sembrare una telenovela degli anni passati (in questo caso nemmeno il doppiaggio italiano aiuta), il film risulta comunque essere un prodotto dignitoso, girato con consolidata maestria. Un cinema classico nella forma, molto rivolto al passato, per citazionismo ma anche per senso di appartenenza a certe stagioni del cinema del passato.
Sicuramente non il miglior Almodóvar, Julieta è un melodramma trattenuto, un po forzato in alcune scelte narrative. Un film da leggere con una doppia valenza: da una parte come esempio di un cinema giusto nella forma, armonico, quasi classico; dall’altra come un cinema sicuramente non originale, chiuso in se stesso e in un continuo ripetersi.
Commento finale - 65%
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Julieta
Costruito come un mosaico di ricordi che man mano prendono forma, Julieta è una storia di donne condannate al mistero, ad occuparsi delle debolezze altrui, a capire e a rassegnarsi. C'è sicuramente molto del cinema che ha reso celebre Almodovar in quest'ultima opera: dai colori alle tematiche, dal melodramma alle tinte più noir tipiche del suo cinema. Non basta però l'estetica e la tecnica registica. Molto spesso si ha la sensazione di trovarsi di fronte a svolte forzate nello sviluppo della narrazione. Forse non il miglior Almodovar ma come dice lui, magari ad una seconda visione potrebbe essere maggiormente apprezzato.