Güeros è una parola che indica i messicani bianchi: come i quattro protagonisti di questo surreale road movie sulle tracce di Epigmenio Cruz, fantomatico musicista che commosse perfino Bob Dylan.
21 vittorie e 12 nomination, disseminate tra i più importanti festival del mondo (incluso Berlino, annata 2014): questi i numeri di un piccolo fenomeno come Güeros, road movie atipico del messicano Alonso Ruizpalacios che sceglie la chiave della sperimentazione e del “pensiero trasversale” nel raccontare la storia di due fratelli e di un’intera generazione: Tomas, adolescente irrequieto, viene inviato dalla madre da Vera Cruz a Città del Messico dove il fratello Federico, detto “Ombra”, vive la sua indolente vita da universitario (affetto da attacchi di panico) insieme all’amico- e coinquilino- Santos. L’arrivo di Tomas e la notizia che il “mito” della loro infanzia (il cantante amato dal padre), Epigmenio Cruz, si sta lentamente spegnendo in qualche angolo della città, spingono i tre ad imbarcarsi in un surreale viaggio on the road sulle tracce di Cruz ma anche sulle tracce di loro stessi.
Atipico e sorprendente, Güeros è un film difficile da collocare in un genere specifico, poiché si diverte (in modo del tutto scanzonato) a decostruire le regole del cinema classico, allineandosi a quella poetica “anarchica” e a quel linguaggio tipico della Nouvelle Vague francese dalla quale desume atmosfere, suggestioni e trovate registiche.
La scelta di girare in 4:3 e in bianco e nero, strizzando anche l’occhio ad un gustoso gioco meta-cinematografico tra palese finzione (filtrata dall’occhio della Macchina da Presa) e sconcertante verità (il racconto di un Messico contraddittorio), rende decisamente unico il prodotto finale, capace di trasformarsi in un “inno generazionale” in grado di narrare le imprese di tutti quegli studenti universitari al bivio, che lottano per rivoluzionare il mondo in cui vivono senza, però, perdere di vista quei piccoli elementi che costituiscono la loro identità, il loro passato e il futuro che li aspetta. Movimenti studenteschi e contestazioni che ricordano il ’68 parigino e tutti i giovani ribelli arrabbiati dell’epoca; una fotografia impeccabile e citazionista (grazie ad alcuni dettagli, come la maglietta a righe di Ana che ricorda quelle indossate dalla “musa” della Nouvelle Vague Jean Seberg) unita ad una regia ricca di tecnicismi, peripezie ardite compiute con l’occhio della macchina da presa che si trasforma in una propaggine del regista stesso, un occhio meccanico che spia, silenziosamente, attraverso il suo filtro “non-umano” le vite straordinarie (nella loro banalità) di Ombra e dei suoi amici, alla ricerca di un delicato equilibrio tra innovazione e tradizione, sulla tracce della musica di un uomo (anche Epigmenio e la sua canzone si trasformano in un inno) che, dice la leggenda, ha perfino fatto piangere Bob Dylan un giorno, con la sua capacità di cantare –e raccontare- ciò che è celato dietro le semplici cose.
Güeros recensione
Commento Finale - 80%
80%
La scelta di girare in 4:3 e in bianco e nero, strizzando anche l’occhio ad un gustoso gioco meta-cinematografico tra palese finzione (filtrata dall’occhio della Macchina da Presa) e sconcertante verità (il racconto di un Messico contraddittorio), rende decisamente unico il prodotto finale, capace di trasformarsi in un “inno generazionale” in grado di narrare le imprese di tutti quegli studenti universitari al bivio, che lottano per rivoluzionare il mondo in cui vivono senza, però, perdere di vista quei piccoli elementi che costituiscono la loro identità, il loro passato e il futuro che li aspetta.