Presentato Fuori Concorso alla 72.ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e prodotto dal Centro Televisivo Vaticano stesso, L’esercito più piccolo del mondo è un documentario che ha alla base un’idea semplice: entrare in Vaticano, tuttora Stato autonomo nel cuore della Città Eterna, e raccontare l’esistenza di una realtà pluricentenaria, apparente residuato di un passato lontano, come quella della Guardia Svizzera, nata nel 1506 per l’intervento di Papa Giulio II.
Pannone, con grande lungimiranza racconta poco delle istituzioni a livello di numeri e lascia parlare le immagini e i suoi protagonisti, fornendoci uno spaccato assolutamente inedito sul suo soggetto, che solitamente guardiamo in maniera pittoresca ma mai approfondita. Il documentario si concentra, infatti, in particolare, sulla storia del giovane studente René, scegliendo di filtrare la vicenda attraverso il suo sguardo, e adottando l’espediente della voice over. Una scelta, quest’ultima, sempre da maneggiare con cura, e che qui, facendo coincidere il narratore della vicenda con uno dei suoi oggetti, rischia di accentuare l’impressione di un prodotto eccessivamente “confezionato”.
Senza mai abbandonare i suoi ragazzi, il regista ci conduce all’interno del ‘cantiere’ della guardia svizzera dove tutti devono portare avanti un allenamento di 5 settimane, li accompagna nei due anni di addestramento, mostrandoci la crescita umana e culturale. All’inizio Leo appena arrivato, guardava stupefatto la maestosità dei palazzi del Vaticano camminando all’interno da solo, disorientamento accresciuto dalla voce fuori campo di Papa Francesco durante l’Angelus. Ovvero la recluta che guarda timidamente da una porta socchiusa l’interno della Cappella Sistina. Gli stessi ragazzi, dopo qualche tempo, acquisiranno familiarità quotidiana con le meravigliose bellezze dalla Cappella Sistina dentro la quale sosteranno per ore per guardie solitarie. Le giovani reclute studiano italiano, si allenano in palestra, vanno a messa, fanno guardie lunghissime, ma sono dei normali ragazzi. Escono insieme al cinema, in pizzeria, giocano a calcio. Immagini solari lucenti e montaggio chiaro e normalizzante: tutto è realizzato nella giusta misura.
Sarebbe, forse, ingeneroso contestare la ripetitività di un film che si propone di raccontare rituali e quotidianità di un corpo come quello della Guardia Svizzera e la confezione in se di L’esercito più piccolo del mondo risulta comunque buona. Ciò che invece sembra mancare, è proprio l’anima, un’idea forte che attraversi l’opera, una base solida che la renda necessaria. A fine visione, è lecito domandarsi quale fosse l’intento che Pannone voleva far trapelare; al di là di un racconto superficiale, e tutto esteriore, di un’istituzione che continua ad apparire residuale, e della sua appena delineata cornice.