Cafè Society: Puntualmente, come ogni anno, torna nei cinema quel geniaccio di Woody Allen, quest’anno particolarmente in forma, con un’opera dalla quale emerge tutta la sua malinconia e la sua totale mancanza di speranza nei confronti della vita.
Anche solo per l’immensa prolificità alla sua veneranda età, è impossibile non amare Woody Allen o per lo meno non considerare ogni suo nuovo lavoro come un appuntamento al cinema imprescindibile, come un’immancabile visione: Café Society non fa assolutamente eccezione, anzi diventerà uno dei picchi della carriera dell’autore newyorkese nel corso del XXI secolo.
L’affresco che Allen vuole porre all’attenzione dello spettatore è anche tra i più malinconici da lui messi in scena: diventa palpabile una crescita della propria disillusione nei confronti del genere umano e della vita stessa, che da sempre aveva accompagnato le pellicole della sua lunga filmografia, ma mai come in Cafè Society si era fatta così tangibile. Non mancano perciò colte riflessioni sull’esistenza e quesiti di origine primordiale che l’autore espone al proprio pubblico tramite iconici personaggi: il protagonista interpretato da Jesse Eisenberg (Bobby Dorfman) si presta perfettamente a diventare un’ulteriore incarnazione della mentalità di Allen, ma allo stesso tempo il tono più struggente che contraddistingue il film permette all’attore di non sentirsi intrappolato in uno stereotipo e conferisce alla recitazione maggior freschezza.
Infatti, allo sviluppo della solita critica antropologica, meno marcata del solito, ma resa comunque decisamente efficace per merito della sagace verve che ne caratterizza lo stile, l’autore intreccia l’elemento romantico, donando alla narrazione un’umanità inedita, raggiunta raramente all’interno della sua recente filmografia. Sullo sfondo vengono inscenati il microcosmo hollywoodiano, per la quale Allen nutre un rapporto di amore-odio, essendo colpevole dell’industrializzazione dell’arte, ma allo stesso tempo luogo idilliaco e rifugio dalla monotonia della vita odierna, e non manca quello amatissimo di New York, in questa occasione osservato da un punto di vista decisamente più consapevole, non tralasciando di mostrarne le luci tanto quanto le ombre.
Entrambe le metropoli vengono dipinte sullo schermo della sala cinematografica magnificamente dal nostro Vittorio Storaro, direttore della fotografia del film, capace di conferire all’opera un vero e proprio valore aggiunto grazie ai tagli di luce talvolta caldi e avvolgenti, talvolta asettici, con i quali ha potuto finalmente dopo molto tempo giocare e sperimentare.
Commento Finale - 85%
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Cafè Society è un deliziosa lettera d’amore verso una realtà che sussiste tutt'oggi, che prende il suo fascino dalla narrazione alleniana, che si divide tra una leggerezza solamente apparente contornata dal travolgente umorismo che il pubblico ha imparato ad amare e una malinconica atmosfera di fondo, che ne fa un prodotto atipico nella sua filmografia quanto allo stesso tempo classico e a dir poco impeccabile.