Il più grande e indimenticato kolossal biblico sfornato dalla Hollywood del 1959, Ben-Hur torna nelle sale cinematografiche con un remake che manca di un cast solido, di passione e approfondimento sui rapporti complessi che intercorrono tra i personaggi e soprattutto di coraggio.
Il più grande e indimenticato kolossal biblico, vincitore di ben 11 premi Oscar nel 1959, Ben-Hur, rivive sui nostri schermi in un remake, ad opera di Timur Bekmambetov che cerca di riadattare lo storico best seller di Lewis Wallace alle esigenze cinematografiche odierne, e di mantenere l’imponenza di fondo che pervadeva l’opera originale di William Wyler. In una Gerusalemme vessata e controllata dall’impero Romano, Giuda Ben-Hur è un nobile giudeo cresciuto insieme al fratello adottivo Messala. I due sono molto legati ma gli eventi li porteranno a separarsi: Giuda è ingiustamente accusato di tradimento da Messala, divenuto ufficiale dell’esercito Romano. Privato del titolo, separato dalla famiglia e dalla donna che ama, Giuda è ridotto in schiavitù. Dopo anni passati per mare, Giuda fa ritorno alla propria terra d’origine per cercare vendetta, ma trovando invece la salvezza.
Esaltato da scenografie imponenti e da alcune scene molto belle, suggestive e ben realizzate come tutta la sequenza in cui Giuda rimane prigioniero in una nave Romana e vive come schiavo rematore, fino al momento in cui non riesce a riconquistare la libertà, all’opera sembra mancare una drammaticità ed un’epicità che hanno reso un capolavoro l’originale. Manca un reale approfondimento sulla psicologia dei personaggi, sulle motivazioni che li muovono, o sui sentimenti a volte contrastanti che li attraversano.
Interessante appare la famosissima scena della corsa delle bighe: Timur Bekmambetov riesce a portarci con Giuda Ben-Hur nella pista del circo romano. L’effetto è sporco, sabbioso, pericolante ma decisamente realistico. Il film avrebbe potuto chiudersi così in modo adrenalinico e coraggioso ma ciò non accade, cercando un rassicurante (e affrettatissimo) lieto fine. Il finale a “tarallucci e vino” in cui viene ripresa la questione cristologica per sottolineare il cambiamento spirituale di Giuda, sembra quasi di troppo e scollata dal resto del ritmo narrativo, quasi a voler enfatizzare quanto poco sia riuscito il lavoro introspettivo sui personaggi rispetto a quello più spettacolarizzante della mera messa in scena, a onor del vero più che discreta.
Troppo lineare e didascalico, Ben-Hur tenta di toccare tutti i passi dell’opera originale per mantenerne integra la magniloquenza. Il risultato è un’opera mediocre che risulta piacevole e intensa in alcune scene d’azione, come quella finale della corsa delle bighe, ma che non riesce a raccontare il riscatto e la redenzione, temi presenti e significativi dell’opera del 1959.
Commento finale - 55%
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Ben-Hur
Il più grande kolossal biblico, vincitore di ben 11 premi Oscar nel 1959, Ben-Hur, rivive sui nostri schermi in un remake, ad opera di Timur Bekmambetov che cerca di riadattarlo alle esigenze cinematografiche odierne e tenta di mantenere l'imponenza di fondo che pervadeva l’opera originale. Il risultato è un'opera dalle scenografie imponenti e con alcune scene molto belle e suggestive, come tutta la parte in cui Giuda rimane prigioniero in una nave Romana e vive come schiavo rematore, o tutta la sequenza della corsa con le bighe. Quello che realmente manca è l'approfondimento della psicologia dei personaggi, dei contrasti che li attraversano e delle motivazioni che li spingono. Manca la drammaticità, l'epicità e il coraggio di un finale non lieto che dia senso alla troppa linearità della storia.