Alla Festa del Cinema di Roma 2016 debutta l’atteso film del regista polacco Andrzej Wajda, “Afterimage” (Powidoki – Immagini Residue): un vero e proprio testamento spirituale che riflette sull’indipendenza dell’Arte nei confronti dei rapporti con il Potere, incline ad imbrigliare con ogni mezzo la Libertà d’espressione.
Un pittore si approccia a dipingere una tela bianca. Ma all’improvviso i colori vengono falsati e l’intera stanza vira sul rosso: un manifesto gigantesco di Stalin è appena stato srotolato sul palazzo, inglobando letteralmente la sua finestra e ridefinendo i contorni delle cose. Mai metafora fu più appropriata per descrivere il Potere inteso come totalitarismo che nega la libertà di espressione, usa l’Arte come mezzo per esprimere e divulgare le proprie idee politiche plagiando e fagocitando.
Afterimage (Powidoki – Immagini Residue), l’ultimo film di Andrzej Wajda, regista polacco che ci ha lasciato a pochi giorni dall’inizio della Festa del Cinema di Roma 2016, è involontariamente una sorta di testamento spirituale; un lascito malinconico di un artista su un artista, mentre entrambi sono colti in un dialogo serrato sull’Arte – sul suo ruolo intrinseco politico e sociale – e sulla figura dell’Artista stesso, interprete profetico delle forme, precursore dei tempi e negromante delle famose immagini residue (appunto) che danno il titolo alla versione italiana del film. Wajda sceglie di raccontare la storia – vera – del pittore polacco Władysław Strzemiński, co – ideatore della teoria dell’Unismo, amico, studente e collaboratore di Malevič, Chagall e KandinskiJ; teorico dell’arte (sua la famosa Teoria della Visione), fondatore del Museo d’Arte Moderna di Łódź, docente di Storia dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti ma soprattutto visionario, talento determinato e inflessibile che decise di non piegarsi ai miseri ricatti e alle intimidazioni messe in atto dal Partito Comunista al potere dal 1948 al 1952.
L’arco del film copre appunto questo lasso di tempo nella vita – ormai agli sgoccioli – del pittore, malato di tubercolosi e afflitto da un grave handicap (non aveva un braccio ed una gamba), che non fu però risparmiato dalle persecuzioni messe in atto dal Partito Comunista russo, pronto ad omologare tutti i propri paesi satelliti sotto un’unica bandiera, un unico simbolo, un unico credo, eliminando chiunque rappresentasse un oppositore. La damnatio memoriae applicata su Strzemiński è logorante: prima viene ostracizzato dalla vita pubblica, poi gli viene tolto il lavoro, la possibilità di dipingere, di esprimersi liberamente, di parlare e di comunicare la propria posizione. In questo orrendo incubo kafkiano nel quale sprofonda, lentamente, l’artista il rosso sembra essere il filo conduttore che accompagna la visione dello spettatore: rosso è il cappotto della figlia di Strzemiński, la cravatta che le viene data dal collegio per la parata; è il colore della politica, del furore ideologico e della passione, soprattutto del sentimento: L’amore è un aspetto presente sotto varie forme nel film. Amore per l’arte, amore per le proprie idee, amore paterno, amore passionale. L’amore e l’Arte dialogano a due voci pronte a confondersi in più d’un momento: lo si può percepire prima tra Strzemiński e sua moglie (scultrice), rievocati a parole in un turbinio di passione e riforma rivoluzionaria post – modernista, poi tra il pittore e la sua giovane allieva; quest’ultimo, pur restando un sentimento a livello platonico, si concretizza nell’oggetto dello sguardo dei due innamorati. Entrambi fissano l’Arte: lui la considera la sua amante, mentre lei si innamora del suo maestro – pittore innescando le immortali dinamiche freudiane del transfert.
Con la stessa sublime visione attraverso la quale aveva già raccontato la Polonia post Seconda Guerra Mondiale, anche in Afterimage Powidoki – Immagini Residue Wajda sceglie di narrare una vicenda umana che diventa specchio dei mutamenti storici, si interseca con gli eventi, finisce per diventare proprio “La Storia” restituendo una lucida ed implacabile visione dei fatti che si trasformano in un pubblico manifesto alla libertà d’espressione (e non solo artistica).
Commento Finale - 80%
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Con la stessa sublime visione attraverso la quale aveva già raccontato la Polonia post Seconda Guerra Mondiale, anche in "Afterimage" (Powidoki – Immagini Residue) Andrzej Wajda ci consegna il proprio testamento spirituale, raccontando una vicenda umana che diventa specchio dei mutamenti storici, si interseca con gli eventi, finisce per diventare proprio “La Storia” restituendo una lucida ed implacabile visione dei fatti che si trasformano in un pubblico manifesto alla libertà d’espressione (e non solo artistica).