Dopo essersi messo a servizio di numerosi registi, Fabio De Luigi si mette in proprio ed esordisce alla regia con Tiramisù, commedia dolce amara che si propone di smontare il mito del successo, e raccontare l’arroganza di chi perde il senso delle cose, la corruttibilità delle persone e la conseguente disponibilità nel farsi corrompere.
“Alla base della storia c’è una donna che sostiene il suo uomo e che è decisamente migliore di lui. Volevo raccontare cosa accade ad un uomo di scarse qualità quando si ritrova a fare una scalata in un mondo che fino ad un momento prima lo aveva relegato alla base della società. Non c’è un racconto moralistico, c’è solo una storia che racconta ciò che non funziona ma anche di ciò che invece funziona. Uno spaccato di una società in cui anche un gesto innocente, come regalare un tiramisù, può divenire qualcosa di diverso e di più grande.” E’ lo stesso De Luigi che ci presenta la sua prima fatica alla regia. La vicenda che si dipana sullo schermo cinematografico è quella di un agente di materiale farmaceutico frustrato che, grazie al buonissimo dolce della moglie, comincia a raggiungere il successo, da cui si fa irretire e sedurre. Di conseguenza si è alle prese con una parabola ascendente destinata a eclissarsi con un battito di ciglia, laddove i nodi vengono al pettine e i problemi si accumulano.
Tiramisù è una commedia garbata e innocua, senza sussulti o trovate geniali nella sceneggiatura, mantenuta da un buon ritmo narrativo e dal finale buonista, senza dimenticare un tocco di romanticismo che rende il film confortante. Nonostante il one man show di De Luigi per quasi tutta la durata del film, si fatica a ridere; gli spunti più comici sono ad appannaggio delle figure secondarie tra cui spiccano il “depresso” Marco (Alberto Farina), il cinico fratello di Aurora, un Angelo Duro cinico ma dannatamente reale, e la misura che Vittoria Puccini riesce a dare ad Aurora, forse il personaggio meglio riuscito dell’opera.