Una giovane donna di bellezza verginale, Laura, viene seppellita in una bara bianca. Claire, la sua gemella in amicizia, il suo doppio, inizia per reazione ad affermare il proprio posto nella vita dopo essere stata fino ad allora l’ombra dell’altra (il prologo in cui si ripercorrono per immagini 20 anni di amicizia, film nel film, è un piccolo capolavoro di sintesi narrativa). David, il marito rimasto vedovo, sente più vivo l’antico bisogno di travestirsi da donna. Lo aveva sempre fatto, ci dice la storia, ma riceve nuovo stimolo dall’esigenza di restituire alla figlia neonata la figura materna venuta a mancare. Claire, sposata con Gilles, uomo onesto ma intellettualmente modesto, inizia a frequentare David e il suo alter ego femminile, che chiama Virginia, sentendo in questo modo di riavvicinarsi all’amica scomparsa e contemporaneamente di scoprire se stessa. Tra i due nasce una speciale attrazione. Sostituzioni, proiezioni, rinascite: il film procede così, per un intreccio di dinamiche freudiane trasparenti al punto da rimanere ambigue (infine perché il protagonista si traveste?). C’è Almodovar, c’è Hitchcock, c’è un po’ del melodramma alla Douglas Sirk (il regista aveva già omaggiato il cineasta tedesco in 8 donne e un mistero) e c’è la fiaba, con le sue principesse supine – perfezionate dalla morte (Laura) o ancora da svegliare (Virginia) – e con il suo lieto fine. È con quest’ultimo forse, e per sensazione in tutto ciò che a ritroso lo precede, che si ha l’impressione spiacevole che carte e attori siano stati truccati per giocare di nuovo la partita di sempre. Vincendola, s’intende, non fosse per abilità registica, ironia misurata («I bambini nascono sotto i cavoli, le bambine sotto i fiori. Forse sono nato sotto un cavolfiore» afferma il protagonista), sensibilità drammatica (la scena struggente nel nightclub sulle note di Une femme avec toi di Nicole Croisille), oltre a un Romain Duris di riconoscibile bravura. Ma è come se Ozon (che all’interno della pellicola si ritaglia pure un divertito cameo) avesse deciso di chiuderla una mano in anticipo per paura di perdere tutto: che vuol dire, sul piano dei significati, smarrire una parabola sull’identità per rimisurare il triangolo del dramma sentimentale, diluire la dimensione politica possibile nell’universalità degli accidenti, aprirsi alla riflessione sulla diversità mentre si accetta la consolazione dell’happy ending. Storia sul travestitismo, è un film che si camuffa da se stesso. Liberamante tratto da un racconto di Ruth Rendell.
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