A poche settimane dalla strage parigina della rivista Charlie Hebdo arriva nelle sale cinematografiche italiane Timbuktu del regista mauritano Abderrahmane Sissako (Aspettando la felicità). Un’opera che descrive le conseguenze di una dittatura nei confronti di popolazioni più deboli quando vengono invase da un regime come quello degli jihadisti.
Popolazioni obbligate a rispettare la shari’a, un termine arabo che significa di legge, costrette ad abbandonare gli usi e costumi della propria cultura come l’ascolto di musica, la pratica sportiva e qualsiasi altra deviazione nata dalla visione coercitiva degli integralisti. Naturalmente in tutto questo non mancano le imposizioni nei confronti del sesso femminile come il dovere del velo.
Caratterizzato da una bellissima fotografia che accompagna alla perfezione le immagini del film, Timbuktu , ci mostra personaggi con sfaccettature molteplici, dove sono poche le persone che riescono a sottrarsi a questa follia. Grazie ad una buona scrittura Sissako offre un taglio molto realistico alla narrazione.
Un’opera straziante, essenziale nel messaggio ci presenta uomini e donne alla ricerca di una vita normale molestati e osteggiati da fucili e violenza.
Tra satira e tragedia Sissako costruisce un film di rabbia e senza rinunciare ad una vena di umorismo restituisce un trauma e dramma viscerale all’attenzione di tutti.