Dopo la parentesi campana della serie tv di “Gomorra”, il regista romano Stefano Sollima torna a casa tramite una ricostruzione feroce della nostra società per una Roma teatro di crimini e immoralità. Una rappresentazione di mafia capitale, tratta dall’omonimo romanzo scritto da Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, dura e senza una reale speranza. La “Suburra” capitolina trasborda sullo schermo come l’acqua piovana dai tombini sotto un diluvio scrosciante. Il degrado collettivo di essere umani pronti al sacrificio della propria moralità e integrità per ambizione personale.
Un prodotto in superficie popolare a tratti “coatto”, di quelli che parlano la lingua della gente comune, tuttavia “Suburra” non è solo questo ed è molto di più di un riuscito film di intrattenimento. In primo luogo è la conferma che Stefano Sollima, figlio del grandissimo e recentemente scomparso Sergio regista e sceneggiatore della serie TV Sandokan e della trilogia western di Cuchillo con Tomás Milián, è un artista talentuoso che lavora in modo unico sulle location, sulle inquadrature, sull’utilizzo del sonoro e i volti dei protagonisti che è capace di scegliere sempre con certosina attenzione attraverso una dura selezione di casting. Sollima possiede la capacità naturale di realizzare un prodotto elaborato, complesso e di restituirlo alla visione dello spettatore in modo diretto. L’azione nei suoi film non è mai fine a se stessa e là dove costruisce un perfetto e ordinario cinema di genere troviamo metafore come la politica che piscia letteralmente sul popolo.
“Suburra” non fa prigionieri, non esiste il lieto fine, ogni personaggio risponde alle conseguenze delle proprie azioni. Opera che ci prende a schiaffi con la dura realtà perché il cinema non può essere solo finzione. Si può raccontare l’Italia anche con l’intrattenimento e “Suburra” ci riesce alla grande grazie ad un lavoro importante e alla presenza di un cast perfettamente all’altezza della situazione.