Osannato dalla critica estera il nuovo thriller drammatico del regista di “Prisoners” si segnala per una struttura autoriale che ne compromettere in parte il ritmo e la suspense. Canadese di nascita Denis Villeneuve continua il suo percorso di denuncia nei confronti del sistema americano attraverso una storia che sottolinea in modo impeccabile la volontà degli Yenkee di mantenere il controllo anche a costo di sottomettere più di un principio sociale e morale.
Presentato al festival di Cannes “Sicario” cerca di restare in equilibrio costante tra film di genere e d’autore attraverso una narrazione sorretta da due realtà di protagonisti agli antipodi, i cinici Matt Graver (Josh Brolin) e Alejandro (Benicio Del Toro), e gli idealisti Kate Macer (Emily Blunt) e Reggie Wayne (Daniel Kaluuya). Una divisione di intenti netta e marcata proprio come il film che promette di essere spettacolare diventando poi nel corso del tempo un’opera riflessiva e non priva di spunti registici interessanti.
Il risultato così come per i protagonisti e la pellicola, si colloca a metà strada in perfetto bilanciamento tra il riuscito e il non completamente convincente. In primo luogo Villeneuve si dimentica di caratterizzare i cattivi puntando completamente il dito solo e comunque sul sistema statunitense, realizzando una contestazione che per funzionare completamente dovrebbe guardare da entrambi i lati della barricata. In seconda battuta appesantendo una narrazione caricata oltre misura di minutaggio superfluo ai fini della storia, il poliziotto e il bambino, attraverso una sceneggiatura affidata a Taylor Sheridan (Sons of Anarchy) che si dimostra ancora acerbo per un lungometraggio.
Un solido film di genere con spunti d’autore pompato oltre i propri limiti.