Tratto dal romanzo di Michelle Widsen del 2006 “You are not you”, “Qualcosa di buono“ segna il ritorno sul grande schermo di una Hilary Swank in grande forma e di una splendida sorpresa nella 25enne Emmy Rossum.
L’ennesima trasformazione fisica per l’attrice protagonista, due volte trionfatrice in casa Academy grazie al ruolo del transgender Brandon Teena in Boys Don’t Cry e del pugile in Million Dollar Baby; in Qualcosa di Buono la Swank veste i panni di Kate, fascinosa pianista di musica classica sposata, innamorata, elegante, dai modi garbati e dalla vita agiata. Il mondo inizia però a crollarle addosso all’età di 35 anni, quando scopre di avere la SLA. Emmy Rossum è invece Bec, scapestrata studentessa universitaria nonché aspirante cantante rock che si propone di ‘assistere’ la malata Kate. La storia di due intime estranee e l’influenza che entrambe eserciteranno nella vita dell’altra dando vita ad un’amicizia fatta di evidente necessità e di reciproca fiducia.
Nonostante i tanti momenti da “commedia” dovuti alla sbadataggine di Bec, alla sua goffaggine e al suo modo di vivere alla giornata che doneranno a kate un nuovo punto di vista e anche il coraggio di essere se stessa, il regista George C. Wolfe pone l’accento soprattutto sulla parte commovente e drammatica della malattia, evidenziandone la degenerazione e i cambiamenti non solo fisici che la protagonista subisce a causa della malattia.
Come indica il titolo originale “You’re not you” (Tu non sei tu), frase che Kate dice a Bec nel film, tutti i personaggi non sono loro stessi ma imprigionati dell’immagine che danno di sé, fino a quando tutti inizieranno a prendere coscienza dell’esistenza di un’immagine più complessa e profonda che è la propria interiorità. E’ forse questa la vera forza di Qualcosa di buono: avvicinare ogni personaggio alla propria vera identità.