Uscirà nelle sale, distribuito da 01 Distribution, il 1 Ottobre, Padri e Figlie (Fathers and Doughters), il nuovo film di Gabriele Muccino che racconta la storia d’amore tra un padre e una figlia interpretati da Russell Crowe e Amanda Seyfried.
Abbiamo incontrato questa mattina un raggiante Gabriele Muccino che ha esordito raccontandoci delle sue esperienze da regista italiano in America : “Qualunque regista che vuole fare il regista in America deve attraversare tutto un lungo percorso del cinema indipendente, fatto con pochissimi soldi, piano piano farsi notare e poi magari fare un film di Studios. Io invece, stavo scrivendo un film subito dopo Ricordati di me, lessi un articolo in cui Will Smith durante un’intervista parlava ampiamente di me e successivamente lo incontrai. Quindi sono passato direttamente, sorpassando milioni di registi che cercavano di fare quello che poi io andavo a fare, battendo anche una concorrenza potentissima. E io fui imposto letteralmente da Will Smith che era convinto che fossi l’unico al mondo capace di fare quel film. E’ un mistero che ancora non ho risolto…” Fa ironia Muccino ricordando quel periodo, e spiegando che non avendo mai fatto film così drammatici non si aspettava un così grande successo per la Ricerca della felicità nel 2006. E poi aggiunge “…ho vissuto un momento in cui potevo fare di tutto ad Hollywood ma poi ho detto di no perchè, di fatto, il mio essere regista, viene comandato unicamente dall’urgenza di raccontare qualcosa di personale e di attinente alla vita. Ho scelto, una scelta anche discutibile, di fare film d’arte, così li chiamano, che sono difficili da mettere insieme ma quando ti capitano, per me, sono come miele per l’orso”. E poi continua “Ho avuto due esperienze felici e poi una meno felice. Ho fatto l’errore di pensare che Hollywood fosse quella che mi aveva introdotto Will Smith, ovvero una sceneggiatura modesta che io ho potuto sistemare. Invece mi hanno legato le mani, appena ho firmato il contratto mi hanno impedito letteralmente di mettere le mani sulla sceneggiatura, il protagonista si scriveva lui stesso le scene e pretendeva di recitarle a modo suo…”
E questa volta?
“Questa volta mi sono innamorato sin da subito della sceneggiatura, ho detto sin da subito che era un film importante molto prima di farlo, sapendo che era anche molto complicato. E’ un film che è stato molto complicato nel montaggio, nell’elaborazione della struttura.. non è un film semplice perchè devi mantenere comunque varie trame, non è un film corale, è un’unica storia con trame che si intrecciano in un film stratificato. Per questo motivo lo dichiaro il mio film più completo, il più compiuto perchè riesce in questa stratificazione ad impattare una zona del nostro subconscio che risponde ad una emotività che non è calcolata ma è una specie di onda che cresce durante la fruizione del film e poi si rompe. Secondo me racconta in modo molto onesto, senza nessuna mediazione, senza nessuna interferenza, ne degli attori, ne dei produttori, è un film fatto veramente a modo mio. Io lo faccio così o ci state o io non lo faccio”
E’ un caso che dei quattro film che hai fatto in America, tre riguardino il rapporto tra un padre e un figlio? Il finale del film è tuo, ti è stato imposto o era già in sceneggiatura?
“Ho provato ad esplorare anche altri mondi laddove ci fossero relazioni umane e sentimenti per cui ci sono dei film che non si sono fatti o che ci mettano più tempo a farsi. Se vogliamo essere più alti, Sette anime è una storia di paternità vista in modo diverso, ossia qualcuno che genera vita in qualche modo però è un po un caso, io ho risposto a questo materiale perchè evidentemente è un materiale che mi tocca, mi emoziona e mi fa sentire quella cosa che dicevo prima, l’urgenza di raccontare una storia che fino ad oggi ho sentito importante raccontare. Posso forse dire con certezza che questo è l’ultimo film che faccio su questo tema perché non credo di poter fare qualcosa migliore di questa su questo tema. Il finale era diversissimo. Finiva in maniera completamente diversa… ma non ve lo dico.”
Qual è stato il lavoro che hai fatto soprattutto sul corpo con Russell Crowe? Che tipo di indicazioni hai dato ad Amanda Seyfried per questo ritratto di donna davvero molto contemporanea.
“Il ruolo di Katie è un ruolo molto pericoloso. Era un ruolo molto inseguito, devo dire la verità perchè c’erano molte attrici di serie A che inseguivano quel ruolo e che volevano farlo. Però quando ho incontrato Amanda ho capito che dietro quella sua fanciullesca attitudine c’è dietro un mondo ed era quello che io avevo intenzione di esplorare. Russell Crowe ha una sua fisicità che è quella del gladiatore perchè io che oggi lo conosco bene posso dire che lui è il gladiatore. Può fare molti altri ruoli perchè lui è un gigante come attore ma ha quella forza lì, ha quella fisicità. Io ho girato prima tutta la parte contemporanea con Amanda. Lui arrivò in corsa molto stanco perchè aveva appena finito di girare il suo film, poi era passato dalla promozione di Noah a Pittsburgh dove noi giravamo, raffreddato, stanchissimo. Mi sono chiuso con lui due giorni nella sua casa e gli ho fatto vedere ore di filmati di convulsioni su youtube.”
E quindi per due giorni gli hai fatto vedere le convulsioni?
“Per il resto sapevo che il ruolo gli era familiare, ha iniziato come giornalista, è padre, è un combattente come il personaggio. Il personaggio è uno che combatte però è la fisicità che gli va contro. Perciò sentivo che sul resto non c’era molto da fare, mentre le convulsioni, quelle andavano studiate perchè si rischia di fare una cosa goffa. Tra l’altro il primo giorno di riprese era il giorno in cui abbiamo girato le convulsioni nel bar quello rosso dopo l’incontro con William. Non è stato facilissimo per me dovergli dire delle cose molto forti e non è stato facile per lui doversi muovere in questo ambito. Il ruolo di Amanda Syfried era un ruolo molto scivoloso perchè il confine tra il giudizio della donna che va con più uomini a letto è labile come donna di facili costumi. La paura che avevo io era di perdere pubblico, cioè che il pubblico con avesse simpatia per lei quindi la sfida con lei è stata proprio quella di empatizzare con quel personaggio, comprenderne le ragioni e partecipare al suo travaglio che è anche quello di autodistruggersi e autodistruggere il rapporto che l’avrebbe salvata e che poi la salverà. Ma è un percorso da fare durante il quale il rischio di perdere il pubblico era contemplato. Amanda ha un grandissimo talento, ha delle somiglianze con Kaite, siamo tutti complicati e io ho fatto perno sui suoi punti deboli, sulle sue fragilità per tirar fuori quello che poi la rende empatica. Tifiamo per chi è vulnerabile e sopratutto per chi è consapevole dei propri limiti.”
Nel film la zia dice “Gli uomini sopravvivono senza amore, le donne no”, secondo te è vero?
“Io senza amore non saprei vivere. L’amore è il motore della vita, la leva del mondo. Credo che le donne abbiano un istinto a cercare l’amore più spiccato degli uomini e lo vedo in mia figlia che ha 6 anni e ha un atteggiamento a volte addirittura materno nei miei confronti. Lei mi aiuta a navigare addirittura, però questa cosa qui nei maschi non l’ho mai avvertita.”