La Regola del Gioco, titolo originale Kill the Messenger, è il classico film d’investigazione giornalistica, con qualche tinta thriller e gialla, tratto da una storia vera.
Diretto da Michael Cuesta, la cui regia migliore finora sono stati alcuni episodi di Homeland, prodotto da Jeremy Renner (The Hurt Locker, The Avengers) che ne è anche il protagonista, il film narra la vicenda id Gary Webb, che, negli anni 90, fece uscir fuori uno scandalo legato al traffico di stupefacenti, arrivando a far tremare i vertici della CIA e mettendo in luce il coinvolgimento dell’agenzia nel caso Contras in Nicaragua.
Dopo un’imbeccata da parte della conturbante Paz Vega, Webb tira fuori il pezzo investigativo che lo fa uscire dall’anonimato e lo porta prima a risalire la china d’una vita non proprio al top e, subito dopo, a causa della macchina del fango che seguirà le sue scoperte, lo porterà vicino al suicidio, al divorzio, al fallimento.
Cast notevole, con moltissime star che si prestano ad apparizioni di pochi minuti (Ray Liotta, Paz Vega, Andy Garcia) e comprimari di buon livello come Oliver Platt, Michael Sheen, Barry Pepper, Mary Elizabeth Winstead (lo confesso, ho una passione per questa ragazza dai tempi di Grindhouse, in cui, vestita da cheerleader, viveva un’esperienza on the road molto particolare) e Michael K. Williams (Chalky White in Boardwalk Empire), il tutto si basa sulla presenza di un buon Jeremy Renner.
Quello che vorrebbe essere è un “Tutti gli uomini del Presidente-reprise”, ma mancano alcune cose per fare il salto di qualità tra un buon film di taglio politico, godibile più in Tv che al cinema, ed un qualcosa di memorabile. Inanzitutto c’è poco pathos, non c’è mai quella tipica sensazione di morsa allo stomaco data da una tensione crescente in parallelo all’attività investigativa. La colonna sonora è buona, rockettara e 90s, ma forse poco azzeccata nel sottolineare i passaggi logici d’una trama troppo lineare per incuriosire fino in fondo. Renner è un buon attore, ma basare tutto un film sulla sua interpretazione, soprattutto quando hai a disposizione personaggi carismatici come quelli sopra citati, può risultare un passo troppo lungo. Già in The Hurt Locker, a dispetto d’una nomination all’Oscar, aveva dimostrato alcuni limiti, qui, dove vengono meno anche tutto il machismo ed il ritmo d’un film di guerra, quei limiti sono più che evidenti nello scarso bagaglio di mimica facciale, nell’intonazione non proprio varia della sua voce ed in moltissimi piccoli altri particolari che renderanno Renner, secondo il sottoscritto, un ottimo co-protagonista per tutta la carriera. La fotografia è quasi da prodotto televisivo, con una luce poco variabile ed un patinato-scuro che fa pensare al film verità dell’anno.
L’idea sarebbe quella di tirar fuori un film d’investigazione con interpretazione corale alla Soderbergh, in cui i pochi minuti a disposizione per ogni big lasciano il segno. Peccato rimanga un’intenzione appena accennata. Sugli scudi Michael Sheen ed Andy Garcia, peccato che li vediamo per pochissimo tempo.
In generale un buon film, da vedere su Sky più che al cinema, ricco di intenti non portati fino in fondo e di vorrei ma non posso. Godibile ma nulla di più.