Ambientato in un villaggio rurale della Francia settentrionale, La famiglia Belier racconta la storia di una famiglia di sordomuti che hanno una propria fattoria dove coltivano, allevano e vendono i loro prodotti nei mercatini locali. La “diversità” dei Belier è per loro “normalità”, e diviene il pretesto per mettere in evidenza le relazioni esterne, il rapporto tra genitori e figli e la realtà agricola contemporanea, la sfida sociale di chi ancora investe in un mondo, “il territorio”, che solo in apparenza appartiene al passato. Una ‘normalità’ invertita, quella portata in sala da Lartigau, che ha così ribaltato il punto di vista su colui che viene solitamente considerato diverso. Perché è sempre lo sguardo degli altri a determinare quello che possiamo considerare normale e quello che non lo è: la “diversa” in questa famiglia è infatti la figlia sedicenne dei Belier, Paula (Louane Emera scovata dal regista tra i finalisti di The Voice), liceale molto legata alla famiglia è una protagonista che sa farsi amare fin da subito, con quella sua miscela di normalissime insicurezze, di genuina umiltà e di salutare ironia, ed è ben spalleggiata dai suoi comprimari: dall’ostinato papà Rodolphe, che decide addirittura di candidarsi a sindaco, a sua moglie Gigi, alla quale la brava Karin Viard, regala alcuni dei momenti più divertenti del film, fino al professor Thomasson di Eric Elmosnino, personaggio adorabilmente cinico. Paula è la “voce” della sua famiglia, voce che sarà anche motivo di rottura: desiderosa di “spiccare il volo” e di studiare canto in una prestigiosa accademia parigina, ma al tempo stesso atterrita all’idea di poter deludere i propri genitori e di abbandonare una famiglia che si è abituata a dipendere da lei per entrare in contatto con il mondo dei “parlanti”, Paula dovrà scegliere se rimanere con la sua famiglia oppure emanciparsi da loro per poter realizzare i suoi sogni.
Attraverso una serie di gag basate sul misunderstanding comunicativo fra udenti e sordomuti, situazioni sessuali imbarazzanti, svolte di crescita adolescenziale il regista riesce a proporre una riflessione sui rapporti di interdipendenza tra genitori e figli, e sulla sofferta necessità di lasciare che i più giovani trovino la propria strada, una strada che, talvolta, può condurli lontano da casa.