French Connection (La French) è un bel film, dal gusto antico ed al tempo stesso moderno. Il piglio registico è fresco, considerando che la mano è quella di un non ancora quarantenne, Cedric Jimenez.
La pellicola si inserisce in un filone piuttosto fortunato degli ultimi 10 anni, consistente nel raccontare gli episodi criminali e terroristici degli anni 60 e 70 in Europa, attingendo dalla storia studiata sul bignami per svangare le interrogazioni e dai film di tradizione poliziesca a basso costo che tanto bene andavano al botteghino in quegli anni. E’ così che in Italia abbiamo avuto Romanzo Criminale, in Germania la Banda Baader-Mehinoff ed in Spagna El Lobo (film mai uscito in Italia sulle vicissitudini d’un infiltrato nell’Eta) e Salvador: 26 anni contro, mentre Spielberg, ficcandosi nel piatto ricco, aveva tirato fuori Munich. Il piglio è quasi sempre reazionario e facilone, ma i film che ne escono fuori sono oggettivamente gradevoli e ben confezionati, cinefili quanto basta e quasi sempre coinvolgenti anche grazie alle colonne sonore d’epoca ad alto contenuto rockettaro e revival.
French Connection racconta l’epopea della criminalità Corso-Marsigliese nella città provenzale, concentrandosi su due personaggi chiave di quegli anni: il procuratore Pierre Michel ed il gangster Gaetan Zampa, sfruttando l’impressionante somiglianza dei due attori prescelti per i ruoli, Gilles Lellouche e Jean Dujardin.
Il giudice Michel ha lavorato a lungo con i minori, soprattutto quelli invischiati in fattacci di droga e, grazie alla sua onestà ed alla sua tenacia, viene promosso e mandato a Marsiglia per combattere il traffico di eroina che, partendo dal Mediterraneo, riforniva gli Stati Uniti d’America. Tany Zampa è il padrone indiscusso della criminalità provenzale ed il bersaglio di Michel. Lo scontro sarà totale, senza prescindere da un serrato confronto tra due personalità carismatiche e luminose, fino alle estreme conseguenze…..
Il film è completamente incentrato sui due protagonisti, che gigioneggiano per tutte le due ore abbondanti della durata, a volte sopra le righe, ma nel complesso convincenti e mai fastidiosi. I due sono circondati da ottimi comprimari: Benoit Magimel lo abbiamo conosciuto globalmente con La Pianista, ma la sua carriera si è svolta principalmente oltralpe con buon profito (fino ad ingravidare, beato lui, Juliette Binoche nella vita privata); Bernard Blancan, vecchio caratterista francese, è uno degli attori feticcio di Rachid Bouchareb (Indigenes, Uomini senza legge); Guillame Gouix è un altro caratterista molto attivo in patria, uscito dai confini nazionali solo grazie a Woody Allen con Midnight in Paris; Cèline Sallette è molto bella e molto francese, ma non la ricorderemo per il talento recitativo; infine menzione a parte per Melanie Doutey: attrice francese attiva soprattutto in patria, protagonista del sopra citato El Lobo, dove mostra tutte le sue grazie e ci conturba al punto tale che io, dopo 10 anni, me la sogno ancora di notte. Compagna nella vita del co-protagonista del film Gilles Lellouche è un’attrice di non eccessivo talento, ma di grande espressività e presenza. Brava.
Molto bello il ritratto che ne esce di Marsiglia, città portuale e popolare, i cui figli turbolenti animano i vicoli e, nel bene e nel male, la onorano e la rendono viva, come in un romanzo di Jean Claude Izzo, con tanto di corse in moto per i vicoli, vedute del mare, del porto, della notte d’una città pigra, indolente, ma mai letargica.
La fotografia è buona, tipica di quei film che cercano di richiamare la memoria ad epoche passate, ma ancora vive nei ricordi di molti per non essere ancora preistoriche. La colonna sonora attinge a piene mani dal repertorio francese di quegli anni, con una splendida versione di Bang-Bang che sottolinea una delle scene più emozionanti del film. Le sequenze degli scontri a fuoco sono coinvolgenti senza cadere nello splatter e non ne viene fatto abuso: le vediamo quando sono necessarie e non pretestuosamente per attirare adolescenti in tempesta ormonale da sparatutto. Il ritmo forse è una piccola pecca di French Connection, perchè è un po’ cadenzato, non frenetico come ci potremmo aspettare da un film di questi anni, ma il tutto scorre agevolmente. L’estetica è pop quanto basta per risultare un prodotto di largo consumo non affogato nella banalità da casalinga di Voghera e Cedric Jimenez attinge a piene mani dalla tradizione polar e poliziottesca degli anni 60-70, soprattutto da Melville e Chabrol.
Il risultato è un film gradevole, ben costruito e ben recitato, dai buoni accompagnamenti musicali e coinvolgente quanto basta per passare due ore di buon cinema in una serata noiosa. Per amanti del genere più che per il grandissimo pubblico, ma pronto a sfruttare l’onda emotiva e popolare del revival criminal made in 70s.