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Fino a qui tutto bene 01

Fino a qui tutto bene di Roan Johnson – Recensione Film

Da “Animal House” a “I Laureati”, da “American Pie”  a “Universitari” il cinema ha da sempre attinto alle storie a gradazioni alcoliche degli studenti e alle loro rocambolesche vicende, a volte estremizzandole e deridendole, altre volte osservandole con piglio nostalgico e con una vena agrodolce. In America ha sempre prevalso la prima strada, mentre nel nostro Bel Paese si è spesso preferito approcciare l’argomento in maniera più dimessa e riflessiva.  Se già Pieraccioni nel ’95 aveva raccontato uno spaccato della vita di laureati, o presunti tali, dell’università di Firenze, narrando gioie e dolori di chi passa la vita in cohausing pregando nel 18 e sognando un futuro certo; Roan Johnson, spostandosi di pochi chilometri da Firenze, decide di portare sullo schermo una versione aggiornata e corretta de “I Laureati”, un perfetto contraltare in epoca 2.0.

Nel film di Johnson, Fino a qui tutto bene,  siamo a Pisa, in un attico con terrazzino abitato da tre ragazzi e due ragazzi che stanno vivendo il loro ultimo week-end da universitari. Proprio quel week-end in cui si svuota il frigo da improbabili reperti ammuffiti, in cui si preparano le valige, in cui si pulisce casa, in cui si ricordano i bei momenti trascorsi e in cui ci si domanda cosa ne sarà delle proprie vite. Il punto di vista scelto è certamente arduo poiché il rischio è di cadere nella retorica, nel groppo in gola, nel melò e via dicendo. E invece Johnson riesce nel piccolo miracolo realizzando un film fresco e brillante, capace di far ridere e di emozionare, di stupire e di abbagliare, di indurre nostalgia ma anche, e soprattutto, speranza: un vero antidoto contro la crisi, fantasma onnipresente di tutta la storia.  “Fino a qui tutto bene” è un prodotto che trasuda positività (la frase cult tratta da “L’odio” di kassovitz è declinata in senso positivo) e amore nel cinema, che parla un linguaggio semplice e diretto, che racconta senza bisogno di raccontare seguendo le vite di ragazzi comuni e non forzando la mano su meccanismi narrativi. E’ il classico spaccato di vita tanto caro ai neorealisti e forse fin troppo abusato ma che, tuttavia, risulta essere un male necessario, unico antidoto contro l’eccesso di scrittura, tipico della maggioranza delle commedie mainstream che scimmiottano finali telefonati ed emozioni di plastica.

Johnson inoltre, oltre che abile affabulatore, si dimostra eccellente talent scout scegliendo attori esordienti di estrema bravura (nota di merito per Cioni), che non solo reggono la scena da soli per 80 minuti, ma che riescono a creare immedesimazione e senso di partecipazione grazie a una recitazione spontanea e mai forzata, che mescola linguaggio gergale e sfumature dialettali.

Tuttavia ciò che rende “Fino a qui tutto bene” un piccolo miracolo a tutti gli effetti è la modalità produttiva. Il film, la cui idea è nata da un documentario commissionato a Jonhson dall’università di Pisa, è stato prodotto dal regista stesso grazie al meccanismo della co-produzione, che garantisce a ogni componente della troupe non un compenso economico bensì una percentuale sugli eventuali utili. Una produzione folle, anarchica e garibaldina (come è ricordato negli stessi credits del film) che si esplicita in ogni singola inquadratura e in ogni singolo lens flare, dimostrando come il Cinema possa essere mosso anche da sentimenti nobili troppo spesso dimenticati come la passione, l’amore, il coraggio e, perché no, la follia.

About Lorenzo Giovenga

Lorenzo Giovenga è un giovane regista italiano. Esordisce nel 2009, insieme al collega e amico Giuliano Giacomelli, col lungometraggio horror “La Progenie del Diavolo“. Insieme, sempre nel 2009, firmano anche i cortometraggi “Pianto Rosso” e “Voce dall’Inferno“. Nel 2011 fonda insieme a Giuliano Giacomelli e Lucio Zannella la Rec-Volution Lab.

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