Vincitore del Premio del pubblico RaroVideo come miglior film della Settimana della Critica e del Premio Fipresci come miglior film (sezioni Orizzonti e Settimana della Critica) alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia 2014, Figlio di Nessuno è un film drammatico, intenso, potente: la voglia e la ricerca di appartenenza ad una comunità civilmente sviluppata di un ragazzino selvaggio – a cui presta il volto ma anche intensità ed espressività un giovanissimo Denis Muric – vissuto per anni con i lupi nei boschi, si incrocerà e si scontrerà con la realtà di un popolo che questa appartenenza e questa identità vede frantumarsi, lasciando il posto all’odio. L’esordio di Rsumovik è carico di riferimenti e spalancano domande su temi giganteschi quali il significato dell’esistenza, il non senso della guerra, la contrapposizione tra natura e civiltà, tra bestialità e umanità.
“Dall’inizio dei tempi esistono miti su bambini abbandonati che crescono allo stato brado. Quel che rende questa storia unica è il suo contesto: la cruenta guerra dei Balcani alla fine del ventesimo secolo. Una guerra che ha avuto un forte impatto sulla mia infanzia e sulla mia generazione. Per questo, se non altro, mi sento vicino al protagonista e al suo destino” Parla così il regista Vuk Ršumović del suo debutto cinematografico, e in effetti nonostante il facile parallelo con Il ragazzo selvaggio di Francois Truffaut, quello che colpisce in Figlio di Nessuno è l’essenzialità dei dialoghi, delle luci, delle scene e della recitazione stessa, la lucidità senza retorica del regista nel raccontare la storia di questo ragazzo che si distacca completamente dal sentimentalismo di Truffaut e rende questo film puro e poetico.
Interessante è vedere come il Film segua costantemente il punto di vista del protagonista che è fatto, almeno all’inizio, solo di “gambe” e non di “facce” quando Haris non cammina ancora in posizione eretta e come dia l’idea di una struttura perfettamente circolare che inizia e finisce con uno sparo in un bosco e si articola intorno a un paio di scarpe: quelle che Haris rifiuta, accetta, scambia e di nuovo rifiuta, come ruoli sempre inadeguati a definire il suo posto nel mondo e che lo rendono simbolo della difficoltà di vivere e sopravvivere in una società che non ti accetta e continua a rifiutarti.