Ispirato al film messicano campione di incassi Nosotros Los Nobles di Gary Alazraki, Belli di papà racconta di una messinscena a fin di bene architettata da Vincenzo Liuzzi, ricco industriale milanese, interpretato da Diego Abatantuono, per riportare i suoi tre figli viziati, superficiali e nullafacenti, alla realtà e alla vita lavorativa.
I tre figli ventenni sono incarnati da Andrea Pisani (Fuga di cervelli), Francesco Di Raimondo (Provaci ancora prof) e Matilde Gioli (Il capitale umano), i quali si trovano per la prima volta a dover affrontare il duro universo dei “lavori umili” una volta rifugiatisi insieme al padre in una vecchia e ormai malconcia casa in Puglia. Ancora una volta una commedia italiana fa spostare i suoi personaggi dalla città del nord al piccolo centro del sud per fargli scoprire la vita vera, cosa conti seriamente e anche una dimensione più intima e reale. L’incontro-scontro sociale stavolta è affrontato, però, in maniera del tutto diversa, in quanto non mirato a generare gag attraverso il contrasto tra le abitudini dei milanesi e quelle dei pugliesi, bensì ad immergere nella poco confortante realtà operaia meridionale personalità appartenenti al pensiero maggiormente snob della borghesia del settentrione.
Utilizzando un registro leggero da commedia, Belli di papà indaga il rapporto genitori/figli innescando un dibattito generazionale in cui si tende a non prendere le parti di nessuno, raccontando con ironia gli sbagli di entrambe le parti. L’intento non è quello di accanirsi contro i giovani, anzi. Il film tende a raccontare di come i giovani riescano, se aiutati, ad adattarsi e a trovare la loro strada molto più facilmente rispetto agli adulti e agli errori che inevitabilmente si commettono. La sua conclusione, buonista e facilmente prevedibile non è, tuttavia, priva di un sottile velo d’amarezza. Il film non si limita a cercare di regalare risate in abbondanza allo spettatore, ma ribadisce l’importanza del dialogo con i genitori nell’Italia d’inizio terzo millennio, divisa tra precariato da crisi e viziati, nullafacenti “belli di papà”.