Reduce da Venezia, dove ha ricevuto due premi nell’ambito delle Giornate degli Autori, Arianna, dell’esordiente Carlo Lavagna, racconta il percorso di scoperta di sé di una diciannovenne che non si sente donna, ma non può dirsi uomo.
Mettendo in scena il tema dell’ermafroditismo, Arianna mostra come l’ordine e il senso che diamo al mondo e a noi stessi per poter sopravvivere è solo un sistema di difesa per non guardare a quella sovrabbondanza di senso che ci circonda. Arianna è il simbolo ambiguo di questa sovrabbondanza, è la vittima predestinata di una bugia, quella che i suoi genitori le hanno inculcato nella mente sin da quella operazione che a tre anni l’ha evirata, dunque vittima di una scelta non sua, che la condanna perennemente al conflitto identitario.
Grande importanza nel film assume il paesaggio, la natura: il ritorno nella casa dell’infanzia riporta a galla, come frammenti, immagini di memoria che sembravano assopite e che, invece, erano conservate dentro di se. Con i suoi occhi azzurro acqua, Arianna riesce a trovare risposte sul suo passato, che la renderanno cosciente del suo futuro, unendo finalmente quelle tre esistenze che ha vissuto durante i suoi vent’anni, prima prive di senso.
Sostenuto dall’interpretazione di Ondina Quadri, il film esplora con sensibilità e onestà i turbamenti di una giovane donna che si trova dinanzi a interrogativi su di sé ma anche di fronte a un passato che progressivamente riemerge facendo esplodere una verità troppo a lungo tenuta segreta. Tutto ciò però avviene in modo un po’ didascalico e lento, come se il regista volesse amplificare le sensazioni della protagonista, rischiando talvolta la ripetitività. Sostenendo il punto di vista della sola Arianna, il regista volutamente evita il confronto tra la protagonista e i genitori, evitando il giudizio e propendendo per un perdono che renderà Arianna libera e non più vittima.