Si parte da un corteggiamento, sembra nascere una storia d’amore, poi la prigione, il rilascio, si arriva ai litigi che portano alla convivenza dei protagonisti, passiamo ad un tradimento e l’apertura di una discoteca in una chiesa, un incidente quasi mortale, un matrimonio, un omicidio, di nuovo la prigione. Alaska è questo e altro. Un film dai mille avvenimenti, mille risvolti, tutti mischiati confusamente nel corso di due ore e mezza. Non che durante la visione non si possa seguire: tutto sommato gli eventi sono narrati chiaramente, ma una volta finito già non ci si ricorda metà delle cose successe.
E’ evidente che la trama sia troppo vasta per un film di un paio d’ore, una tale quantità di avvenimenti non potrebbe essere trattata nemmeno nel corso di una stagione in una serie televisiva. Avrebbe potuto benissimo trattare di uno solo dei vari risvolti della trama, rimanendo comunque interessante e movimentato. E’ vero che in Italia di film così articolati non se ne vedono, ma qui andiamo da un eccesso all’altro. La pellicola è un susseguirsi di situazioni improbabili ed esasperantissime, conseguenze inaspettate ad azioni assurde. Ora, bene che si tratti di pura invenzione, ma, l’abbandono totale di una ricerca di verosimiglianza, penalizza la pellicola. La trama va avanti attraverso peripezie epocali le quali, prese una alla volta, sarebbero avvincenti, ma nel corso di sole due ore stonano. E’ come un’opera epica nella quale non esiste una prova maggiore, l’eroe deve costantemente affrontare ostacoli insormontabili, un costante climax che finisce per esasperare.
Un drammone dai toni forti, un ritratto di quello che può succedere unendo tutti i personaggi negativi in un tripudio di disgrazie. Non c’è il buono o il cattivo, sono tutti egoisti e concentrati ossessivamente sul raggiungimento delle proprie ambizioni e passioni, spesso a discapito delle persone più vicine a loro. Si salva l’interpretazione di Elio Germano, che ritrae bene il personaggio squilibrato di Fausto, in costante ricerca di eccessi, ma nel complesso credibile. Àstrid Bergès-Frisbey anche, fa un buon lavoro, nonostante le sue espressioni facciali variano dal triste al tristissimo, senza eccezioni. La fotografia, la regia in generale ed alcune scene sono notevoli. La trama, data la sua vastità, non annoia mai. Troviamo episodi interessanti e ben costruiti nel corso di tutta la pellicola, scene toccanti e delicate, ma non è abbastanza per far dimenticare le mancanze (o gli eccessi) del film.
Un’occasione mancata, dunque. I buoni propositi ci sono, i messaggi che il film vuole trasmettere sono molti, ma forse troppi per essere messi a fuoco e assimilati.