Vincitore del premio per i migliori attori ed attrici emergenti all’ottavo Festival del Cinema di Roma, Acrid diretto dall’esordiente Kiarash Asadizadeh punta il dito sull’istituzione familiare nell’Iran di oggi e ci racconta le storie di quattro donne differenti che combattono contro il dolore provocatogli dal tradimento espresso in tutte le sue forme.
Soheila, Azar, Simin e Mahsa sono le donne di Acrid che significa agre, aspro, proprio come il sapore amaro di un’unione (quella tra uomo e donna) che finisce – con il passare degli anni – per lacerarsi lasciando le donne in una situazione di subordinazione pratica e psicologica a un mondo in cui il maschilismo sembra ancora farla da padrone assoluto. Eppure, nascoste e mimetizzate dietro i loro veli, le donne di Kiarash Asadizadeh sono tutte donne che lottano: contro la mancanza di voce (Soheila), contro il loro stato di umiliazione (Azar), contro le loro stesse scelte (Simin) e infine (tutte insieme) contro la loro invisibilità. Nonostante venga concesso loro di affrontare ingiustizie e sessismi a viso aperto, le donne di Acrid rimangono pur sempre legate al contesto di una tradizione dura o morire, che influenza non solo i propri partner, ma ancora forse loro stesse.
Il film, che ha una struttura circolare, riesce – utilizzando gli sguardi pieni di dolore delle protagoniste – a rendere evidente la struttura concentrica di quel male che come un boomerang tende a tornare proprio lì da dove s’è generato. Particolare è la chiusura affidata alla giovane Mahsa, tradita dal ragazzo con cui voleva imbastire una relazione moderna: torna a casa a riabbracciare il padre, tutt’altro che autorevole, perché si tratta del marito di Soheila, prigioniero come lei di un paese che non riesce a cambiare.
Acrid è un buon film, asciutto, elegante, che mantiene una sua poesia e un insolito candore nel metter in scena la circolarità del dolore e che ci pone di fronte alla questione di un malessere societario reale e che si rigenera di generazione in generazione senza soluzione di continuità.