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Racconti di Cinema – Barfly – Moscone da bar di Barbet Schroeder con Mickey Rourke e Faye Dunaway

Ebbene oggi recensiamo Barfly – Moscone da bar di Barbet Schroeder (Il mistero von BulowInserzione pericolosaLa vergine dei sicari), film del 1987 presentato in Concorso al Festival di Cannes, da noi però uscito ad Aprile dell’anno dopo.

Scritto nientepopodimeno che da Charles Bukowski in persona. Che adattò per la versione cinematografica il suo omonimo libricino, edito da noi per la prima volta dalla SugarCo col titolo L’ubriacone. Come recita la sinossi, un testo interamente dialogato concepito come possibile sceneggiatura per un film, ambientato nel mondo degli emarginati.

Peraltro, raccontandoci i problemi realizzativi e il dietro le quinte della lavorazione dello script di Barfly – Moscone da bar, Bukowski avrebbe poi tratto uno dei suoi maggiori best seller, ovvero Hollywood, Hollywood!

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La trama di Barfly – Moscone da bar è molto semplice.

Un poeta di strada squattrinato e alcolizzato cronico, Henry Chinaski (Mickey Rourke), vale a dire l’alter ego di Bukowski stesso, passa le sue giornate a zonzo, bighellonando come un barbone, trascorrendo soprattutto gran parte del suo tempo al Golden Horn, un bar scalcagnato frequentato da balordi e prostitute ove, quasi ogni sera, fa a botte col suo, potremmo dire, liquorista, il macho Eddie (Frank Stallone).

Il film si apre infatti esattamente con una forte rissa fra Henry e Eddie. Due tipi che non si sopportano.

Henry, dopo esser stato sconfitto da Eddie, il quale gliel’ha suonate di santa ragione, stramazzandolo al suolo, rincasa con le ossa rotte. Il giorno dopo, come sua incurabile consuetudine, non pago dei pugni presi e delle profonde ferite a lui inferte, ritorna a litigare con Eddie, provocandolo ripetutamente. I due, su di giri, escono dal locale e, nel viottolo adiacente, in piena notte di nuovo molto violentemente si accapigliano e azzuffano con rabbia feroce. Stavolta però la spunta Henry che, per la prima volta, riesce a battere Eddie, conciandolo per le feste.

Ovviamente Eddie, a questo punto, caccia Henry dal suo locale. Cosicché Henry è costretto a cambiare bar. E, una sera, fa conoscenza con Wanda Wilcox (Faye Dunaway), una donna sola e un po’ matta però molto affascinante e sensuale. I due finiscono presto con l’innamorarsi e di tacito accordo decidono di convivere. Wanda però tradisce Henry con Eddie. Naturalmente Henry, scottato da quest’inaspettato tradimento, avvenuto neanche a farlo apposta con colui che odia di più al mondo in quanto rappresenta la personificazione di tutto ciò detesta in un uomo, bisticcia accesamente con Wanda. I due comunque tornano assieme.

Intanto, Henry riceve la visita di una donna molto elegante, Tutlly (Alice Krige), proprietaria di una rivista letteraria di spicco, la quale vorrebbe pubblicargli un articolo.

Tully invita Henry nella sua villa sulle colline di Hollywood. Fanno l’amore e Tully chiede a Henry di stare con lei, confidandogli che potrebbe aiutarlo a diventare uno scrittore di successo. A quel punto, Henry, malgrado venga allettato sia dalla proposta sentimentale che da quella lavorativa prospettatagli da Tully, gentilmente declina ogni piacevole offerta. Dicendole che preferisce tornare a vivere, come uno straccione, nel suo quartiere. Perché soltanto in quest’ambiente sporco e maleodorante lui riesce a trovare sé stesso, ricevendone la propulsiva, sincera verve vitale che gli occorre per ottenere le sue geniali ispirazioni creative.

Grande prova d’un Mickey Rourke sovrappeso, coi capelli unti e lunghi, il pancione debordante e la camminata da gobbo di Notre-Dame. Altrettanto ben affiancato da una Faye Dunaway che interpreta il suo perverso e al contempo romanticamente dolce personaggio con perfetta, magnetica adesione al ruolo.

Abbinando al suo maliardo sex appeal, da donna ambiguamente matura consumata della vita, una recitazione disperatamente istrionica. Infatti, per la sua incisiva performance, la Dunaway fu candidata ai Golden Globe.

Barbet Schroeder sa bene come inquadrare gli scorci atmosferici di questi squallidi sobborghi losangelini bazzicati da gente folcloristicamente folle e pittoresca, sgradevole ma ricca nell’animo di purezza e stramba veracità.

Coadiuvato dall’ottima fotografia del compianto Robby Müller.

Detto ciò, Barfly – Moscone da bar non è un film memorabile ma è altresì molto bello. Il classico film sul quale tutti serbavano enormi aspettative, da qui infatti la sua presentazione alla kermesse cannense, che alla sua uscita non poco deluse, ricevendo immeritate critiche molto pesanti.

Ma è anche una pellicola che, a tutt’oggi col senno di poi, possiamo considerare un piccolo cult quanto meno da rivalutare non poco.

Dissento dunque apertamente, ad esempio, nei riguardi di Paolo Mereghetti, il quale nel suo Dizionario dei film l’ha stroncato, appioppandogli un voto bassissimo, definendolo un’autocompiaciuta e irritante compilazione di luoghi comuni che la regia di Schroeder non riesce a vivificare nonostante il suo gusto per le storie marginali.

Accanendosi peraltro ingiustamente sull’interpretazione di Rourke che lui considera grottesca e involontariamente comica e che invece io reputo una delle sue migliori in assoluto.

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

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