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Il nome della rosa, recensione dei primi due episodi della fiction RAI di Giacomo Battiato con John Turturro, tratta dal best seller di Umberto Eco

Eh sì, nonostante le critiche abbastanza impietose che gli son piovute addosso dalla sua primissima messa in onda su Rai Uno, proviamo a dire la nostra su Il nome della rosa di Giacomo Battiato con John Turturro.

Ricavata in forma di fiction di otto episodi della durata cadauno di circa cinquanta minuti, ça va sans direIl nome della rosa, è la trasposizione in format televisivo del celeberrimo best seller capolavoro di Umberto Eco.

Libro certamente di altissima pregevolezza e mirabile ingegno, dall’aulica prosa ipnotica, suggestivamente intelaiata secondo l’intagliato, portentoso, raffinato stile letterario di un Eco al massimo del suo splendore.

Ove aveva riversato tutte le sue conoscenze da imbattibile latinista e semiologo della narrativa e non solo, dipanando un intreccio giallo al cardiopalma da Agatha Christie e incastonandolo in un’ambientazione, appunto, medioevalistica, memore dei loschi intrighi papali e sacerdotali di quei tempi lugubremente ammantati di arcano mistero, oscurantismo e superstizione nerissima.

Come tutti voi sapete, l’opera di Umberto Eco era già stata tradotta per il grande schermo nel 1986, soltanto sei anni dopo dall’uscita sul mercato italiano della prima edizione libresca della Bompiani, per merito del francese Jean-Jacques Annaud, controverso regista di pellicole come L’orsoL’amante e Sette anni in Tibet. Il quale poté avvalersi della magnetica, centrale, carismatica presenza irresistibile d’uno strepitoso Sean Connery nell’indimenticabile ruolo del celebre Guglielmo da Baskerville.

Un film forse non eccelso questo di Annaud anche perché in poco più di due ore era comunque pressoché impossibile riprodurre fedelmente il complesso marchingegno letterario di Eco, molte sfumature filosofico-storiche inevitabilmente del libro si smarrirono o, perlomeno, si scompose e frammentò gran parte della sua alchemica amalgama a causa della logistica stringatezza del minutaggio, essendo stato, giocoforza, un lungometraggio.

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Ma un film comunque dai notevoli pregi. In primis, rimarchiamolo ancora, quello di aver consegnato al mitico Sean Connery uno dei suoi ruoli iconici per eccellenza quando Sean era all’apice del suo più maturo, attrattivo e consistente fascino sensuale. Pur dismessi gli sfavillanti, virili panni del suo epocale e tutt’ora invincibile agente segreto più famoso del mondo, ovvero 007, anche sotto una tunica, all’apogeo della sua vertiginosa, stagionata, attoriale potenza magnetica, fu straordinario e al solito seduttivamente potente.

Ma un film bello anche in virtù dell’atmosferica fotografia di Tonino Delli Colli e delle rudi e gotiche scenografie, oserei dire rupestri, dello scenografo Dante Ferretti. Infatti, entrambi egregiamente giocarono affiatati, stupendamente simbiotici e sincronici, col clima soffusamente maliardo, visivamente parlando, scaturito dall’aver inquadrato con colori vivi e plumbei le abbazie, i fangosi e lerci dirupi, e nell’aver arredato le biblioteche antiche e impolverate con decorazioni barocche e sataniche, forgiando di rifrangenze chiaroscurali di sicuro impatto una vicenda già di per sé ammaliante e trascinante.

A questo si aggiungevano i bei costumi di Gabriella Pescucci.

Premesso ciò, passiamo alla trasposizione in 4 puntate firmata dal veterano, nostrano Giacomo Battiato. Interpretata da John Turturro, anche fra gli sceneggiatori e tra i produttori.

A una prima occhiata, chi scrive questo pezzo deve esservi spietatamente sincero. I primi due episodi, ovvero quelli che ho preso in analisi, non mi erano piaciuti. Assolutamente.

Li avevo trovati pacchiani, bolsi, soporiferi, e passatemi questa definizione, prettamente, pateticamente laici e insopportabilmente in sintonia con quello ch’è da una vita il format religioso-storico tipico della RAI.

E stavolta il termine laico sarebbe stato comunque alquanto calzante, dato che parliamo di una riduzione di un film abitato da monaci benedettini e da frati francescani, da certosini amanuensi ieratici, da indecifrabili emissari della fede cristiana, una trasposizione innervata su complotti ereticamente biblici e contortamente macabri, spiritualmente cupi e misterici. Perfino paradossalmente diabolici

Infatti, Il nome della rosa di Giacomo Battiato, piuttosto che assomigliare a un mystery, sembra in alcuni punti un horror. Ove pare che, dagli anfratti della biblioteca, possa spuntare da un momento all’altro un raccapricciante babau lovecraftiano.

John Turturro, malgrado fornisca una prova decorosa, non può certo rivaleggiare con Connery, il tedesco Damian Hardung as Adso Da Melk, be’, non è Christian Slater, Rupert Everett, che qui incarna il temibile inquisitore Bernardo Gui, non possiede la forza luciferina di F. Murray Abraham. E Stefano Fresi/Salvatore non ha l’eguale, inquietante maschera grandguignolesca dello scimmiesco, eccezionale Ron Perlman.

L’uso smodato e kitsch della CGI ci fa apparire l’abbazia come la rocca dello stregone buono di Ladyhawke.

Eppure, da una serie televisiva, tutto sommato, non potevamo aspettarci troppo.

E la fotografia di John Conroy, sì, talvolta è patinata oltremisura ed eccessivamente, paradossalmente naturalistica, quasi da spot pubblicitario, ma emana il suo caldo, avvolgente effetto piacevolmente demodé.

Il nome della rosa con John Turtutto, a conti fatti, non è così brutto come io stesso avevo pensato alla sua prima visione.

Si lascia vedere, senza troppe pretese.

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

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6 commenti

  1. Angelo santoni Rugiu

    Sono d’accordo con le osservazioni non esaltanti sulle prime due puntate del lavoro con John Turturro, ma anche io avevo pensato che, da una serie televisiva non si poteva aspettare di più. Condivido quindi in ultima analisi il giudizio “accettabile” e “vendibile. Saluti.
    Angelo Santoni Rugiu

  2. Personalmente non sono d’accordo nel tessere solo lodi di questa produzione come ho letto da più parti.
    Premetto, non ho letto il libro, ma conosco a memoria il film originale. L’articolo qui sopra è senz’altro più moderato di altri che ho visto, ma tutto sommato è a mio avviso fin troppo indulgente verso un prodotto che aveva potenzialità ottime, ma realizzato davvero in modo scadente.

    La fotografia è certamente spettacolare e lo stile di regia è molto moderno, molto cinematografico e allineato al nuovo stile introdotto già con “i Medici”, molto dinamico, veloce, e certamente più giovanile. 😉
    Mi è piaciuto anche il fatto che malgrado le ovvie aggiunte per poter far durare così tanto la serie, le parti in comune col film siano davvero in comune e simili, quindi c’è una continuità che mi è stata decisamente gradita.

    Di contro però, il cast secondo me non è all’altezza.
    Sean Connery rimane irraggiungibile, ma anche tutti gli altri attori non sono a mio avviso credibili e espressivi quanto gli originali. 🙁
    A mio avviso il film originale faceva molta più paura e rappresentava ambienti molto più inquietanti. L’inverno era vero freddo gelido con tanto di fiato in vista e frati tremanti coperti solo dal proprio saio, cose che nella serie non ho notato. I monaci avevano un aspetto terrificante e tutto sembrava più tetro, ovvero tutto somigliava davvero all’idea che abbiamo (o che almeno ho io) del medio evo.
    Perfino il gobbo era molto più spaventoso, per non parlare del cieco Jorge.

    Il meno credibile in assoluto rimane però Adso. L’originale era davvero un ragazzino terrorizzato da tutto e ancora incapace di affrontare il mondo senza il suo maestro, il nuovo è un “fighetto” che sembra avere le idee molto chiare su tutta la sua vita e che non ha avuto una sola espressione di paura in tutta la puntata… 🤨

    I dialoghi a mio avviso sono più immediati rispetto al film originale ma anche meno ricercati.
    Il film probabilmente, grazie al ritmo più lento, consentiva maggiormente la riflessione su ogni scambio di battute, sul significato più profondo e intenso (penso alla spiegazione sulla differenza tra francescani e dolciniani, oppure sulle deduzioni di Guglielmo in merito ai fatti accaduti, o ancora sulle originali elucubrazioni che spiegavano come “l’eretico nasca dal santo, o l’indemoniato dal veggente”, o ancora “Il passo che separa la tensione mistica dalla violenza della follia, è fin troppo breve”, tutti riferimenti ancora molto attuali o ancora l’incredibile spiegazione del perché il riso facesse tanta paura al venerabile Jorge, dato che “Il riso uccide la paura, e senza la paura non ci può essere il timor di Dio, e senza il timor di Dio non ci può essere la fede”).

    Insomma, a me sembra che nella serie ci sia molta più attenzione alla parte visiva, mentre il film era molto più attento alle emozioni in termini di paura e significato puro.

    Intendiamoci, è certamente un prodotto che merita di essere visto, non voglio bocciarlo, semplicemente non mi sembra esente da difetti come invece sembrerebbe da tante recensioni che ho letto in giro…

    —-

    Questa sarebbe la recensione che farei se mi fermassi alla prima serata di presentazione, come quando è stato scritto l’articolo… ma poi ho visto le successive… che pena ragazzi…. se almeno un po’ la prima serata mi aveva catturato, le successive le ho trovate completamente vuote, divaganti e piene di cose che non aggiungono nulla alla trama e anzi… snaturano i personaggi e li rendono ancora meno credibili.
    Su Adso, davvero sono impietoso, è un “fighetto” che non ha mai paura di nulla, di nulla!!! assolutamente poco credibile…
    Ho visto che lo share è crollato, c’è da capirlo…

    • Grazie innanzitutto per il suo commento, puntuale e anche inappuntabile. Molto ben scritto e argomentato, complimenti.

      Le consiglio di leggere però il libro. Si tratta di un libro irrinunciabile. E le dico questo perché né il film di Annaud né questa serie con Turturro sono riusciti a trasporlo come si doveva. Nonostante, come scritto nella recensione, il film di Annaud sia bello e con un grande Sean Connery, nella riduzione cinematografica si sono persi molti sotto-testi filosofici di cui il libro è intriso e intessuto.

      Questa serie non è all’altezza del film di Annaud che, concordo, riproduceva meglio e in maniera più angosciosa l’atmosfera del Medioevo.

      Eppure, come scritto anche nella nostra recensione degli episodi 3 e 4, ha un suo perché. I dialoghi in effetti sono parecchio difettosi e le scene spesso patinate. Ma, ricordiamo, che è un prodotto televisivo destinato al grande pubblico, costato fior di quattrini. E sa benissimo che le esigenze commerciali hanno sempre un certo peso anche nelle scelte poi registiche.

      Si tratta di un compromesso non del tutto disdicevole. Comunque abbiamo da vedere altri quattro episodi. E la situazione può migliorare, qualitativamente involvere o franare del tutto. Vediamo quello che succede.

  3. Se parliamo del “prodotto” non entro nel merito. Non sono un regista o un addetto ai lavori.
    Ma ho letto il libro qualche volta (22…) ed è probabilmente l’opera letteraria che conosco meglio.
    Sappiamo benissimo che si tratterà sempre e comunque di una trasposizione e sarà assolutamente impossibile mostrarne le sfumature o i livelli narrativi. Nella conversione del formato certe cose si perdono, si sa. E uno se ne fa una ragione, sperando che il prodotto sia comunque godibile, aderente quanto possibile se non nella forma ALMENO nella sostanza. Quando a venirne intaccata però non è la superficie ma l’essenza stessa di un’opera allora no.
    Vogliamo cambiare l’ordine di arrivo delle legazioni all’Abbazia? Vabene, è un adattamento.
    Vogliamo ammodernare il look di un ragazzino del XIV secolo per renderlo più digeribile oggi? Ok.
    Vogliamo disegnare un’abbazia esagonale e non quadrata (il che cambia il senso stesso dell’edificio ma è un dettaglio fine)? Ok.
    Vogliamo aggiungerci un piano perchè la biblioteca doveva essere più spettrale e servivano le scale? Evabbè, lo condoneremo.
    Vogliamo fare la biblioteca tutta in pietra e senza gli armaria (che poi non si capisce come senza il legno degli armadi si possa incendiare tutto ma amen)? Che sarà mai.
    Bernardo Gui che ricorda di aver già visto Remigio da Varagine? Una licenza, ci sta.

    Però un erborista che dice che Berengario soffriva di Epilessia nel 1327 era bello in anticipo coi tempi (infatti nel libro ne descrive il male come qualcosa di strano, descrivendone i sintomi).
    Per non parlare di Alinardo, il vegliardo quasi secolare “infermo di mente”, vera e prorpia memoria storica (ma confusa) che è reso in modo straordinariamente presente. Ci manca che a un certo punto tiri fuori dal saio un mazzo da 40 e chieda se qualcuno si fa una briscola. E a un certo punto rappa. No dico. Lo riscrivo: RAPPA. Avesse finito con uno “YO” avrei almeno capito che si era buttata la storia sulla vena dissacrante e invece…
    Anna (figlia di Dolcino e Margherita, che non esiste nel libro ma vabbè) che pare la nipote del personaggio di Assassins Creed o una sorta di Punisher cos’è? Una quota rosa? Se non sapevano come aumentare il minutaggio c’erano molte cose da poter far notare. Se mi adattano un romanzo in un convento non è che mi infastidisco se non ci sono personaggi maschili. E’ un convento…
    Adso che esce ed entra dall’Abbazia (innevata) per i suoi incontri con la ragazza nel bosco (primaverile) così, manco fosse un albergo? La ragazza la vede per la prima volta per caso, nell’edificio una notte. Capisco inserire la figura femminile e darle importanza e capisco anche che la “popolana” del libro sia aderente come condizioni alla profuga di oggi, ma porca miseria. Vestita com’è in novembre Adso al limite poteva andare a trovarne la salma congelata.
    Ubertino da Casale, personaggio di dimensione GIGANTESCA nell’economia della storia in compenso è stato falciato via dalla storia. Non esiste. Puf. Ciao Ubertino.
    Jorge: quello del film è inarrivabile. E ok. Ma è il senso del personaggio che manca. Jorge è tetro, rappresenta la fede che non sorride, non è insinuante, è oscuro e con una personalità schiacciante.
    Malachia diventa un papista in incognito. Dal giallo alla Spy Story. Evvai.
    Salvatore NON è così, da nessuna parte. Lascivo, untuoso, ma diabolico, quasi demoniaco, spaventoso al vedersi. Salvatore raggela, non è una macchietta. Ron Perlman l’ha interpretato magistralmente, qui è reso quasi come un buffone, e non credo proprio che il problema sia l’attore che lo interpreta quanto la scrittura del personaggio. E fa l’aiutante di Remigio, non produce la carta (ma questo è un dettaglio).
    Turturro ha dialoghi molto aderenti al libro, è bravo e sottile. Aymaro bravo. Michael Emmerson eccellente, un abate davvero strepitoso. Everett è un Bernardo Gui credibile, quantomeno.
    Il Film di Annaud concedeva, due ore di girato non potevano concedere molto di più, qua siamo quasi a 8 ore.
    Non era questione di essere più aderenti al libro, è un riadattamento per un formato diverso. Si tratta di non rifare il Signore degli Anelli coi Nazgul bianchi o con le maschere da Pennywise. Qui è stato fatto, al netto di un comparto luci pregevole, di alcuni attori di ottimo calibro e di una più che discreta realizzazione tecnica.

    • Analisi senza dubbio precisa e pertinente la tua. Battiato, indubbiamente, ha fatto di testa sua ma nell’insieme è una serie ampiamente da promuovere

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