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Mindhunter 2, recensione degli episodi conclusivi

Come sapete, dallo scorso 16 Agosto è usufruibile in streaming su Netflix la seconda stagione di Mindhunter.

Ve ne abbiamo già parlato innumerevoli volte, lodandone l’eleganza, la finezza registica dei vari director (fra cui Andrew Dominik) che, durante questi due segmenti, si sono avvicendati dietro la macchina da presa, regalandoci uno dei migliori prodotti degli ultimi anni.

Patrocinata da David Fincher, cineasta che, oltre a esserne produttore, ha lui stesso filmato alcuni episodi, co-prodotta da Charlize Theron, scritta e ideata da Joe Penhall, Mindhunter 2 s’è fin da subito rivelata una serie vincente.

Una storia assai particolare e originale di detection ove i due agenti dell’FBI Holden Ford (Jonathan Groff) e Bill Tench (uno straordinario Holt McCallany), accompagnati dalla dottoressa Wendy Carr (l’algida ma brava e sexy Anna Torv) si sono inoltrati nel lercio sottobosco dei maggiori serial killer dei seventies, intervistandoli personalmente, in presa diretta, potremmo dire, nell’ambizioso tentativo di porre le basi concettuali d’un rivoluzionario modus operandi nei metodi, per l’appunto, investigativi del bureau al fine d’allestire una sorta di “profilazione” (questo il neologismo letteralmente coniato per l’occasione) psicologica dei criminali stessi.

Cosicché, dando vita a quest’innovativa scienza comportamentale per la quale, ricavando informazioni preziosissime dai più pericolosi individui già condannati e incarcerati, atte a studiare la loro mente, potessero meglio dedurre altri eventuali, spietati assassini efferati ancora in libertà.

Una diramazione, oseremmo dire, cognitiva della criminologia stessa. Un Minority Report della fenomenologia dei mostri a piede libero da fermare ancor prima che possano nuovamente colpire.

Una serie piuttosto snella ed efficacissima nella prima stagione la cui durata di ogni singolo episodio oscillava fra la mezz’ora (sì, così poco) e al massimo l’ora netta.

Una serie che però, qui arriva la nostra lapidaria, abbastanza irremovibile e severa nota dolente, nella seconda stagione s’è un po’ sfilacciata, appesantendosi leggermente nella durata e probabilmente affastellando troppi temi senza svilupparli esaustivamente, rimanendo cioè irrisolta e assumendo una corposità diegetica decisamente meno coesa e omogenea.

Sì, in questi nove episodi di Mindhunter 2, dopo un incipit assai promettente e piuttosto inquietante, la serie s’è appannata e afflosciata pur toccando picchi d’estremo interesse, ovviamente, nel secondo episodio con l’entrata in scena del famigerato figlio di Sam, interpretato dall’attore Oliver Cooper, e soprattutto nell’ep. 5 col quarto d’ora dell’intervista folgorante a Charles Manson (Damon Herriman).

Dunque, incendiandosi e appassionandoci dal quart’ultimo episodio in poi con l’indagine di Ford e Tench riguardo l’omicidio e la misteriosa sparizione di giovanissimi ragazzi, fra i nove e i diciassette anni, avvenuta dal 1979 all’81 in quel di Atlanta.

Inizialmente, si pensò che a rapire e a uccidere i bambini fosse stato il Ku Klux Klan.

Con enorme sconcerto, invece l’FBI scoprì che il responsabile di quest’agghiacciante misfatto fu George Williams (Christopher Livingston).

Ma poi fu veramente lui?

E, un giorno, sapremo veramente chi è ADT Serviceman (Sonny Valicenti)?

Detto ciò, malgrado l’impennata del finale, Mindhunter 2 c’ha in parte scontentato.

Poiché, lungo l’alternarsi di questi lunghi nove episodi, spesso abbiamo avvertito un ritmo troppo soporifero e la serie, come già sopra detto, è stata troppo narrativamente altalenante. Saltellando da momenti indubbiamente affascinanti, addirittura magnetici e dall’inconfutabile potente attrattiva, ad attimi tutt’altro che esaltanti. Perdendosi in numerose digressioni superflue e assai irrilevanti.

Cioè, a conti fatti, una serie dall’inizio propulsivo ed esteticamente dinamitardo poi, ahinoi, smarritasi nel marasma d’uno zibaldone confusionario e nel caos di micro-vicende alquanto scontate.

Al di là comunque dei suoi evidenti, imperdonabili cali e a dispetto della dispersiva frammentazione della trama e delle sue sotto-trame, Mindhunter 2 merita un 7 pieno.

Ma, a essere sinceri, in attesa della stagione 3, già entrata in pre-produzione, c’auguriamo di tutto cuore che il suo sceneggiatore e ideatore Joe Penhall possa farsi venire idee migliori.

Poiché, sì, anche se all’infinito Mindhunter proseguisse su questa linea, per l’appunto, investigativa, la guarderemmo lo stesso ma onestamente pretendiamo d’ora in poi qualcosa in più.

Com’è lecito che sia.

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

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