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Racconti di Cinema – Being Flynn di Paul Weitz con Robert De Niro e Paul Dano

Oggi, voglio recensire per voi un film mal distribuito dappertutto. Che in Italia è stato programmato per la prima volta in tv su Premium Cinema il 5 Settembre del 2013. Ma che da noi non è mai arrivato in sala e per di più non è ancora disponibile in Blu-ray. Neppure in DVD.

Davvero strani i misteri della distribuzione, considerando il fatto che Being Flynn non è certamente un capolavoro ma è, senz’ombra di dubbio, una delle pellicole maggiormente interessanti degli ultimi quindici anni con protagonista Robert De Niro. Un mito, un’icona cinematografica immacolatamente ancora intatta nonostante, come sappiamo, le scelte professionali delle sue almeno due ultime decadi abbiano lasciato non poco a desiderare.

Il film è diretto da Paul Weitz, grande amico di De Niro. Infatti, il suo About a Boy – Un ragazzo fu prodotto dalla Tribeca del nostro Bob. E poi, sempre con De Niro produttore, Weitz ha girato il terzo, definitivo capitolo del franchise Meet the Parents. Ovvero, Vi presento i nostri.

E appunto questo Being Flynn. Con un improvviso cambio di rotta, anzi, oserei dire di rottura direzionale, modificando radicalmente le traiettorie poetiche, Weitz, dall’atmosfera caldamente dispettosa dell’appena succitata, acida commedia per famiglie Vi presento i nostri, per l’occasione ha spostato la sua attenzione su un ristrettissimo nucleo familiare agli antipodi rispetto ai borghesi perbenisti di Long Island del film con Ben Stiller.

Adattando la bellissima, poetica e toccante novel di Nick Flynn, Another Bullshit Night in Suck City, da noi tradotta letteralmente col titolo Un’altra notte di cazzate in questo schifo di città, edita dalla Mondadori.

Un libro, peraltro, raro a trovarsi. Dal quale estrapoliamo la sinossi che si adatta benissimo anche alla trama del film.

Nick Flynn ha rivisto suo padre per la prima volta dalla sua infanzia a 27 anni, mentre lavorava come volontario in una casa-rifugio per senzatetto di Boston. Per anni da ragazzo aveva ricevuto le lettere di questo sconosciuto, sedicente poeta abituato a tirare avanti tra truffe e periodi di carcere. E anche Nick conduce una vita semi-precaria tra un barcone cadente e le rovine di un deposito trasformatosi in un fiorente centro per l’uso di crack. Un memoir che racconta, con voce ironica e ritmata, la storia di due vite e del destino che le ha portate a intrecciarsi in modo del tutto inatteso in un centro di accoglienza per gli emarginati di Boston.

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Weitz nel suo film (della durata di un’ora e quarantadue minuti) ha edulcorato un po’ la vicenda, rendendola più sentimentale e mainstreaming, per ovvie esigenze commerciali. Dolcificando i forti turpiloqui del libro di Flynn, mitigando, attenuando e ingentilendo le rabbie dei due protagonisti, asciugando i loro poderosi scontri verbali in schermaglie, sì, furiose e talvolta perfino spassose, burrascose e irriverenti, ma sempre moderate da una corretta standardizzazione tipicamente hollywoodiana. Adottando una dialogica estetica, potremmo dire, abbastanza temperata. Ma comunque, va detto, ugualmente efficace.

Paul Dano (Nick Flynn) trova qui il suo primo ruolo più bello e sfaccettato dopo il suo invasato predicatore arrogante Sunday de Il petroliere di Paul Thomas Anderson.

Una parte inizialmente destinata a Casey Aflleck che Dano fa propria con una forte padronanza della sua tenera, buffa ed emozionante versatilità espressiva. Con l’angelica eppur inquieta sua faccia da perenne adolescente irrequieto e problematico.

De Niro, invece, come già da me accennato, dopo tanti film cosiddetti alimentari, torna con Being Flynn a giganteggiare con melanconica drammaticità sentita. Il suo “loser” ed eterno, romantico sognatore barbone Jonathan è sostanzialmente, se vogliamo giocare di parallelismi meta-cinematografici, un Travis Bickle invecchiato ma ancora in lotta con la società cinica e brutale, l’Arthur Lustig di Paradiso perduto con le sue grandi speranze dickensiane perdute e vinte dalla triturante bellezza orrida della vita nella sua attanagliante, logorante, temeraria e caparbia, folle fuga dagli squallidi ingranaggi sociali, un poeta di strada bukowskiano, rancoroso, arrabbiato, ubriaco fradicio che però, irriducibile e volenteroso, combatte per regalare a suo figlio, già sfortunato quanto lui, la potenza di un sogno letterario da caldeggiare, coccolare, benedire e allevare con deliziosa, accorata, inarrendevole forza vigorosa.

Perché lui e suo figlio non vogliono perdere almeno l’illusione dell’eterna immortalità della loro anima giammai corrotta.

Julianne Moore, nella parte dell’ex moglie di Jonathan, madre volitiva di Nick, che lei cresce da sola sin poi a crollare, suicidandosi, è un po’ sacrificata e il suo personaggio non le concede molto spazio recitativo, ma è sempre bellissima.

Nel cast, anche Olivia Thirlby, Lili Taylor (The Addiction) e il mitico Wes Studi. Che ci fa però il villain de L’ultimo dei Mohicani, il nostro Geronimo nella parte di un rassicurante assistente sociale?

Ottima, atmosferica la fotografia di Declan Quinn (Via da Las Vegas).

Being Flynn, no, assolutamente non è un grande film, ma una bella, delicata pellicola che assomiglia tanto a una canzone di Badly Drawn Boy, che infatti furoreggia amabilissimo in colonna sonora.

About Stefano Falotico

Scrittore di numerosissimi romanzi di narrativa, poesia e saggistica, è un cinefilo che non si fa mancare nulla alla sua fame per il Cinema, scrutatore soprattutto a raggi x delle migliori news provenienti da Hollywood e dintorni.

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