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Le Ereditiere, recensione dell’opera prima di Marcelo Martinessi

Premiatissimo a Berlino nel 2017, Lucky Red porta in sala Le Ereditiere, opera prima del paraguaiano Marcelo Martinessi

Le Ereditiere ha già raccolto i premi  che doveva al Festival di Berlino di un anno fa, e non avrebbe potuto essere altrimenti. Il film del debuttante paraguaiano Marcelo Martinessi, per astuzia o casualità, ha praticamente tutte le carte giuste per conquistare il favore di un festival cinematografico occidentale del 2018: co-produzioni europee, paese di riferimento bizzarro, sottile critica sociale, venature LGBT, femminismo e terza età.

Nulla di ciò va però preso come un difetto: Le Ereditiere è del tutto a suo agio nel suo essere un film come altri, nel raccontare una storia ampiamente codificata in uno stile ampiamente codificato. Come il più becero cinema commerciale, con il quale le meccaniche del cosiddetto cinema d’autore non hanno in realtà alcuna differenza, Le Ereditiere segue serenamente un percorso tematico e stilistico già battuto. Non cerca di sovvertirlo, quanto di differenziarsi nelle sfumature. Qualcuna di esse merita attenzione, e giustifica l’impegno distributivo internazionale.

Le Ereditiere del titolo sono due signore borghesi sui sessant’anni, Chela (Ana Brun) e Chiquita (Margarita Irùn), compagne da tutta la vita, da sempre mantenutesi attraverso una ricca eredità della prima. Ma qualcosa, nel quartiere e nel Paese,  sta cambiando in peggio: i soldi stanno finendo, la classe medio-alta si impoverisce, e si avvicina il momento di tornare a guadagnarsi  da vivere con le proprie mani. Chiquita, la più intraprendente delle due, finisce in carcere per truffa. Nei pochi mesi in cui si ritroverà per la prima volta da sola, la bloccatissima e timida Chela dovrà reinventarsi come autista e ricominciare ad uscire di casa. La conoscenza della più giovane Angy (Ava Ivanova), forte e disinibita figlia quarantenne di un’amica, sarà il definitivo fattore di sconvolgimento.

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Cosa funziona in Le Ereditiere

Ciò che pone Le Ereditiere su un piano diverso rispetto alla spaventosa mole di storie analoghe raccontate in letteratura/teatro/cinema (il “risveglio” della donna alto-borghese di mezza età), inutile girarci attorno, è l’orientamento sessuale delle protagoniste. La scelta di trasformare il classico ménage matrimoniale in un triangolo tutto al femminile cambia la meccanica del rapporto, e così le sue implicazioni. Martinelli lascia emergere un interessante discorso generazionale, centrato sulla contrapposizione tra le anziane aristocratiche per cui Chela lavora, ex ricche rancorose e classiste, e una nuova categoria sociale rappresentata dal personaggio di Angy: indurita, in difficoltà, ma a modo suo “doppio” quasi idealizzato della spaventata Chela. Che attraverso l’amor fou per la donna e quel coraggio da lei rappresentato approderà ad una crescita personale forse già vista, ma raggiunta attraverso una dinamica diversa. Un modo piuttosto maturo di usare l’omosessualità in drammaturgia: non come argomento catalizzatore del film, ma come strumento funzionale ad un discorso più ampio.

Mettendo al centro di Le Ereditiere questa riflessione quasi “di classe” (una ricchezza ereditata che sta svanendo; la necessità di uscire ancora di casa per tornare a vivere), Martinelli approda ad un film molto concreto, piacevolmente fisico, pieno di scenografia, oggetti, abiti, trucco, sigarette. E trova tre funzionali protagoniste, coraggiose quanto basta per mostrarsi imbruttite e vulnerabili. Lo sguardo del mondo spagnolo e latino-americano è, ormai da almeno trent’anni, infinitamente avanti a quello italiano nella rappresentazione di personaggi femminili. Con personaggi migliori, arrivano attrici migliori.

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Perché non guardare Le Ereditiere

Osservando Le Ereditiere da lontano, al netto di sottigliezze varie, la differenza tematica ma soprattutto stilistica con centomila film dallo stesso tema è minima. L’eterno racconto flaubertiano alla base di Le Ereditiere esiste in una narrazione infinita, e le pellicole in  grado di elevare ulteriormente la traccia rispetto a quanto già raggiunto sono poche. In Italia in particolare esiste una vera e propria industria di professioniste (Laura Morante, Mariasole Tognazzi, Margherita Buy…) che da anni porta avanti con discreto successo eterne variazioni su questo stesso film.

In tale esasperante contesto, Le Ereditiere è interessante il giusto per spiccare, ma non abbastanza forte da distanziarsi. La storia la conosciamo, gli  esiti li sospettiamo, lo stile è sempre quello (naturalismo buio e desaturato, niente musica, movimenti di macchina minimi ad  esaltare ovvie metafore: pareti di casa sempre più vuote, una vecchia macchina che si impara a guidare). Una location sudamericana relativamente nuova e la sottotraccia omoerotica donano un’impronta parzialmente diversa, ma non basta: la sensazione è di averlo già visto, Le Ereditiere. E più di una volta.

Le Ereditiere prova a rielaborare una storia già nota. Più esotica e contemporanea di altre variazioni sul tema, ma senza la determinazione necessaria per spingersi in territori sconosciuti. Ma chiedere di più è ingiusto: il film è soddisfatto così, e per il suo ambiente di riferimento è il prodotto perfetto.

Le Ereditiere al cinema dal 18 ottobre con Lucky Red

Regia: Marcelo Martinessi; Con: Ana Brun, Margarita Irùn, Ana Ivanova, Nilda Gonzalez Anno: 2018, Nazione: Paraguay Distribuzione: Lucky Red Durata: 95 min

About Saverio Felici

(Roma, 1993) Lavora nei campi dell'editoria e della produzione audiovisiva. Scrive e collabora tra gli altri con Point Blank, Nocturno e Cineforum.

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