La Settima Musa vede il ritorno dell’autore horror spagnolo Jaume Balaguero, a quattro anni dall’ultimo Rec. In sala a fine agosto, distribuito dalla Adler
Jaume Balaguero è in una fase un po’ di ristagno nella propria carriera. I fasti dello scorso decennio sono lontani, la gloriosa ondata euro-horror di metà 2000 che lo aveva lanciato è ormai roba da libri di storia. Con La Settima Musa, Balaguero torna dopo tredici anni alla co-produzione inglese, prende attori anglofoni di basso profilo e punta timidamente ad un mercato internazionale. L’ultima volta era stato con Fragile, nel 2005. Da allora, il dittico (poi evolutosi in tetralogia) di Rec lo aveva portato alla fama e allo stesso tempo bloccato con un successo insospettabile e irripetibile. L’ultimo vero exploit è stato nel 2009. Da allora, nonostante una critica sempre bene o male favorevole, i successivi lavori non hanno lasciato il segno. La Settima Musa vale più che altro come ritorno ad un horror di medio-alto livello, con qualche ambizione e non troppa voglia di stupire.
Lo spunto di La Settima Musa, come sempre con Balaguero, non è male. Pur partendo da materiale già esistente (il romanzo spagnolo La Dama Numero Trece), il regista si conferma prima di tutto un grande pitcher, capace di individuare una premessa intrigante e costruire un film intero (spesso appena diligente) basandosi solo sulle due righe dello spunto. In La Settima Musa, lo scrittore traumatizzato Samuel Solomon (Elliot Cowan) è perseguitato dall’incubo di una donna uccisa. Quando l’omicidio avviene realmente, scopre grazie ad una serie di circostanze che ad essere coinvolte potrebbero essere le Muse: proprio gli spiriti benigni della mitologia antica, per l’occasione rappresentati come demoni sanguinari e immortali, ispiratori degli artisti attraverso il sangue e la sofferenza. Le muse malefiche vogliono un macguffin che Solomon possiede, e gli daranno la caccia in una corsa contro il tempo per trovare una soluzione e sfuggire alla maledizione. Ad aiutarlo, la sripper Rachel (Ana Uralu), perseguitata dagli stessi incubi e coinvolta quanto lui.
Cosa funziona in La Settima Musa
Come era facile immaginare, la parte più interessante di La Settima Musa sta nello spunto e nel soggetto. Come quasi ogni film di Balaguero, è forse migliore raccontato che non visto. Il meglio sta nel creativo lore-building a base di letteratura, mitologia greca e horror demoniaco post-Hellraiser: come nel classico di Barker (ma anche le matres di Argento sono un punto di riferimento neanche tanto velato), il motore del racconto sta tutto nella consapevolezza di un destino ineluttabile, rappresentato da forze sovrannaturali invincibili e crudeli, che tutto possono e tutto fanno. Fuggire è impossibile, e la ricerca disperata di una scappatoia tiene alti ritmo e tensione. Balaguero fa il suo, azzecca qualche scena e qualche location (le scenografie sono da sempre il fiore all’occhiello degli horror ispanici) e tira dritto per tutti i quasi 110 minuti. Per l’occasione, ci scappa anche qualche vaga riflessione sulla natura dell’arte e sul dolore come elemento creativo primordiale. Interessante magari più a livello teorico, rispetto a quanto sia effettivamente messo in scena.
Perché non guardare La Settima Musa
Il problema di La Settima Musa è forse proprio il suo regista. Balaguero è un filmaker competente e creativo, ma anche rispetto ai suoi “compagni di scuola” (Aja, Laugier, Gens ecc) manca nettamente di visione. E in un genere prettamente visivo come l’horror è problematico: non a caso i suoi primi exploit erano ghost stories a budget zero, tutte minimalismo e tensione. In La Settima Musa è necessario mostrare. Uno splatter visionario, di matrice quasi j-horror (altro modello), non si può permettere di andare al risparmio. Eppure la cautela è ciò che uccide La Settima Musa. Il brutto non è veramente brutto. Il sensuale non è granché sensuale. Il sangue è poco e mai disturbante. Make-up ed effetti, che dovrebbero fare il film, sono sciatti e dimenticabili (a partire dall’aspetto delle muse, anonime e per nulla caratterizzate). E un cast di una pochezza inquietante, dal protagonista ai noiosissimi mostri, non aiuta in nessun modo (da segnalare solo la splendida Manuela Vellés, e il buon Christopher Lloyd nel consueto ruolo di star patrocinante acchiappa-fondi).
Nel complesso, La Settima Musa rimane piuttosto godibile. Balaguero lavora da mestierante, porta a casa un film teso e tirato (al netto di qualche sbandamento di plot) e sorprendentemente “per tutti”. Ma uno spunto fantasioso come quello di partenza avrebbe forse meritato l’apporto di un creativo più dirompente.